“ Per distrarmi un poco, intensificai la mia attività. […]… trovai nella biblioteca, nascosti in mezzo ad alcuni libri di botanica, quattro quaderni bianchi. Vecchi, umidi, le copertine erano verde muschio. Le pagine erano a righe, con i margini superiore inferiore, e anche ai lati. Pronti per essere riempiti. […] Erano soltanto quattro. Piuttosto sottili. Quindi avrei dovuto suddividere la mia vita in quattro parti. Dopotutto non avevo bisogno di tante pagine. Presi il primo quaderno e scrissi il mio nome. Sul secondo, il nome di Olivia. Sul terzo, il nome di Elvira. I pilastri della solidarietà, così la vedevo io. Lasciai l’ultimo in bianco.”

(pag.86-87)

La struttura, l’ossatura di questo romanzo è tutta dentro queste righe.

Nell’america latina, tra campagne e miseria scompaiono bambini. Tutti figli di analfabeti, contadini poverissimi incapaci di capire tanto meno reagire. I neonati muoiono a poche ore dal parto, vengono impedite le visite e, degli ipotetici corpicini, restano solo ceneri. Un rituale, uno schema.

Ma una donna non ci sta.

Nel suo mondo seppure umile c’è ancora un posto vuoto, un posto enorme che colma con l’istruzione, la tenacia, le battaglie e la galera.

È la storia di una perdita annunciata, la bambina non c’è già più dalle prime pagine, ma anche di una ricerca eterna. Una donna contro tutti. Una donna che non crede e non si rassegna. Una donna che rischia.

La realtà raccontata dalla Serrano è senza dubbio dura, crudele e lontana da quella italiana.

Il fenomeno dei bambini scomparsi e il mistero che aleggia attorno alle adozioni illegali e il traffico degli organi, sono purtroppo radicati e diffusi ovunque. Non hanno nazione, né territorio.

La Serrano racconta una storia con precisi riferimenti geografici, approfondisce, scava, tra dinamiche di miseria, povertà, ignoranza e potere. Ma anche ribellioni, rapimenti politici e territori abbandonati.

“Essere poveri vuol dire tante cose oltre a non avere soldi. Me lo aveva insegnato mio padre quando ero piccola e lo ripeté allora. Lui e mia madre non credevano mica che fossi pazza, e neanche fuori strada. Non è la prima volta che una donna priva di mezzi si vede negare il cadavere del suo bambino. Così disse mio padre. Ah, se il marito mio avesse potuto sentirlo! Ma lui era nato in città, non era contadino come me, aveva credenze divers.”

(pag.19)

Ed è una storia dolorosa ma mai stagnante, ricca di pagine vive, pulsanti, mai pesanti nell’incedere degli avvenimenti.

L’intero romanzo è scritto dalla protagonista stessa, solo l’ultimo, il finale, sposta l’angolazione, restituisce al narratore la sua dimensione di personaggio.

La Serrano scrive in modo fluido, amalgama dialoghi e riflessioni, plasma fatti con spiegazioni. Il risultato è un flusso continuo che scivola facilmente. Il ritmo si tende a tratti verso rallentamenti eccessivi, proprio perché la scrittura è un composto liscio e uniforme in alcune pagine, specie verso la fine, si rischia di perdere la concentrazione, la tensione per la storia. Ma è, indubbiamente, una percezione soggettiva (la mia) che risente delle precedenti letture.

La linearità non è necessariamente un difetto, anzi, e la Serrano costruisce una storia con strumenti semplici, non le interessa colpire in modo eclatante, non cerca il colpo si scena improvviso. Racconta una storia. E lo fa con calma, lasciando che la protagonista si prenda le dovute pause, respiri necessari per non esplodere.

Credo sia difficile, molto, per un italiano entrare in questa realtà che purtroppo è vera nelle fondamenta. E credo anche che l’errore che si rischia di commettere è proprio quello di credere ‘a me non succederà’, di perdere un figlio in quel modo, di vedermelo portare via per chissà quale motivo o scopo. ‘A me non succederà’ è purtroppo una trappola che si avverte tra le righe di questo romanzo che ha una trama definita ma offre diversi spunti di riflessione.

In Italia la situazione dei bambini scomparsi, del mercato nero degli organi, è decisamente un’altra. Ma c’è, esiste, tanto quanto i giochi di potere, gli accordi politici ed economici, le strategie.

“ O l’avevano data in adozione o l’avevano venduta per il traffico degli organi. Scoprii l’esistenza di una rete di traffici in cui erano coinvolti paesi ricchi che commissionano il rapimento di bambini nei paesi poveri. I nostri si prestano volentieri a farlo, pagano bene. Ed è facile con tante donne ignoranti che partoriscono in ospedali sperduti, perché no?”

(pag.36)

In conclusione è un romanzo che racchiude un immenso dolore ma non si arrende mai, è il tratteggio di una donna che non cede alla miseria e all’ignoranza ma tenta in tutti i modi di combatterli. È la forza di una perdita che non si esaurisce neanche quanto il tempo allontana i volti e gli odori. E c’è, di fondo, la rabbia cieca e sorda, verso un sistema che disprezza la vita umana e la popolazione umile. C’è, ancora più in fondo, l’urlo straziato per un legame che neanche la presunta morte può spezzare e che non è comparabile o sostituibile con nessun altro tipo di rapporto. L’amore per un figlio può trasformare una persona, renderla talmente forte e coraggiosa da rinunciare a tutto il resto: l’amore di un compagno, l’appoggio delle amicizie, una casa propria, la stabilità.

“Un atto è tanto più potente quanto necessario.”

(pag.103)

I quaderni del pianto
di Marcela Serrano
Feltrinelli, ottobre 2007

traduzione dalla spagnolo di Michela Finassi Parolo
Isbn 978-88-07-01737-7