Finalmente aveva capito.
Era la mancanza di, il maneggiare in continuazione sfere incandescenti che scivolavano, fuggivano da quel continuo formicolio alle dita con venatura bluastri, piene di pieghe brutte a vedersi.
Fuori c’era il sole quando.
Ma importava poco (che ci fosse il sole), forse sarebbe stato più facile con la nebbia, la compagna che lo conosceva quel senso di strappo, pulsazione feroce, strizzata traditrice. Con la nebbia si, era più facile.
Quando manca qualcuno ci si aggrappa ovunque, ha notato poi, meteo e gastronomia compresi. Infatti ha preparato frullati, frappè, minestroni, creme con asparagi, funghi e patate. Tutte robe liquide, capaci di scivolare e non saziare, da continuare a ingoiare con calma, lentamente, per riempire tempi e spazi sfilacciati.
Il telefono non suonava, ogni tanto se lo rigirava tra i palmi secchi, fissava i tasti e aspettava che il brodo bollisse o il frullatore smettesse di fischiettare.
Ricordati che, aveva detto.
Come no, aveva pensato.
Ma poi tutto si era cristallizzato in un presente immobile, mai completamente passato, facilmente rintracciabile nei corridoi della memoria. I suoi (corridoi) erano stretti e lunghi, portavano ovunque e anche questo dettaglio non aiutava.
La prossima volta, aveva detto.
E i sorrisi erano sigilli.
La forma era quella del sigillo.
Ma non lo erano, sembravano solo ciò che la memoria aveva voluto appiccicare al muro del tal corridoio.
A presto, aveva detto.
E tante altre cose, aveva detto.
E lì, in quell’assenza che era anche sottili promesse mai mantenute, lì si trovava il confine, proprio quello ‘esatto’, preciso preciso, tra il farsi fregare ancora e smettere di credere e ricordare.
Le bolle della crema di patate non smettevano di attaccarsi alla pentola.