> Le precedenti tre parti rintracciabili dalla categoria ‘interviste’ scorrendo i post


BG Che idea ti sei fatta di quello che si può o non si può fare? Ci hai mai pensato ascoltando tutte queste storie? Secondo te, le donne possono qualcosa o è un intervento che deve venire ‘dall’alto’?

SF Guarda, credo che sia un intervento che deve venire assolutamente dall’alto e in maniera molto feroce. Qualcosa che sia veramente dirompente. Perché questo non è un problema delle donne e basta, è un problema culturale tipicamente mediterraneo che ruota attorno alle donne che lavorano ma anche alla madre che fatica a scindere i ruoli. La Spagna per esempio sta facendo davvero grandi passi, Zapatero ha fatto delle leggi pazzesche, anni luce davanti a noi. C’è poi questa legge che è passata qualche mese prima delle nuove elezioni… obbliga i consigli di amministrazione ad avere il 50 % di partecipazione femminile, obbliga il genitore maschio a prendere il congedo di paternità altrimenti il congedo non viene riconosciuto neanche alla madre… non lo so, mi sembra che ci siano degli aspetti nettamente propulsivi rispetto alle leggi italiane. Serve uguaglianza su questi temi. E poi pene. Il Governo in Italia dovrebbe intervenire con una serie di norme e di azioni che favoriscano il lavoro delle donne ma poi ci devono essere altrettante pene, per cui se c’è un sentore di difficoltà o discriminazione rispetto a una lavoratrice madre, immediatamente dovrebbero scattare dei controlli. Bisogna far paura.

BG Forse, in alcuni casi è anche un problema di procedure e tempi.

SF Il problema è che di questi discorsi in Italia non gliene frega niente a nessuno. Se in Spagna uno dei ministeri importanti viene affidato a una donna giovane al sesto mese di gravidanza, è un segno così forte… di rispetto verso le donne, il loro lavoro e il loro poter essere anche madri… è un segnale così forte che immediatamente irradia. In Italia di queste questioni non interessa niente a nessuno. Non ci sono leggi, nel senso che quelle che ci sono andavano bene all’inizio ma si è imparato in fretta a piegarle, a raggirale con dinamiche sotterranee.

BG In effetti non sembra tanto una carenza legislativa generale, una mancanza vera e propria. Sono piuttosto tutte quelle dinamiche bisbigliate, le atmosfere che si riescono a creare attorno alle donne al punto da spingere a subire comportamenti… al punto che in molti casi o resti subendo, accettando demansionamenti o attacchi vai diversamente te ne vai. Non ci sono molte mezze misure, molte strade percorribili…

SF Non c’è niente per proteggere le donne contro queste dinamiche. Il precariato in Italia, ha peraltro legittimato quello che prima era qualcosa di illegale, in un qualche modo. Il precariato lo ha ufficializzato perché se il contratto ti sta per scadere e sei incinta, fine. Quindi ci vorrebbe veramente una rivoluzione sociale dall’ ‘alto’. Perché culturalmente non ce la faremo mai. Non siamo come i nordici attenti al sociale, educati e che riconoscono il potenziale anche delle donne. Noi siamo un popolo fondamentalmente egoista in cui ognuno pensa al proprio orticello e che tu sia il dirigente di una grande azienda o il proprietario di una piccola impresa, la donna incinta ti rompe comunque.

BG Sembrano ancora fortemente radicati ragionamenti maschilisti, in questo senso, che vogliono la donna ingabbiata in un certo ruolo e se tenta di uscire, appunto di lavorare ma poi vuole anche dei figli… allora non c’è quasi comprensione…

SF Per questo se queste dinamiche sociali non vengono spezzate davvero dall’ ‘alto’, con misure totalizzanti rispetto ad educazione, congedi parentali, pene severe, velocità dei processi o delle vie legali, part time, asili nido, orari flessibili… se qualcuno dall’ ‘alto’ questi aspetti non li cura, non possiamo aspettarci che sia la società ad arrivarci da sola.

BG C’è bisogno di dare la possibilità alle donne di dimostrare che quello che sapevano fare prima, lo sanno fare anche dopo un figlio. E che (magari) possono anche essere redditizie. Come emerge dal documentario, c’è un’incongruenza di fondo in talune dinamiche aziendali per cui si colpevolizza la donna per i mesi di assenza in maternità, ma poi, quando rientra, non la si mette in condizione di riprendere appunto a lavorare. Piuttosto la si tiene in un angolo, come racconta una delle donne, o comunque le si riducono le mansioni, le si togli il lavoro da sotto il naso sperando che se ne vada, in ogni caso con l’intento di farle pesare le precedenti assenze. In tanto lei è lì, e non può lavorare ma non perché non sia più capace, bensì perché non glielo si permette come potrebbe e vorrebbe.

SF Assolutamente. Infatti il risvolto devastante rispetto a queste dinamiche è che è tutto legale, sul mobbing la legislazione in Italia non è ancora mirata, non si capisce bene come provarlo, dimostrarlo… tutti elementi che fanno in modo che chi viene colpito da mobbing in un qualche modo è quasi totalmente abbandonato a se stesso. Alla fine se non arriva uno stravolgimento dall’ ‘alto’, non cambierà mai niente. E secondo me il cambiamento non arriverà certamente a breve perché non c’è nessun politico in Italia né di destra, né di sinistra che ha pensato di mettere in mano questo problema, questi argomenti a una donna che certe situazioni le ha vissute, che le conosce. Una donna che ha avuto figli, ha imparato a conciliare, ha magari subito certi trattamenti sul lavoro o comunque ne ha sentito parlare da colleghe e amiche, allora ci si rende conto davvero di quali sono le necessità e le misure da prendere urgentemente. Questi interventi non sono avvenuti nelle passate legislature ed è evidente che non avverranno in questa perché… ci sono appena quattro ministri donne di cui due senza portafoglio, è una cosa ridicola… siamo all’ultimo posto in Europa. Mi sembra che anche nei prossimi anni non cambierà nulla.
Ed è pazzesco perché poi ci si lamenta che in Italia c’è una natalità molto bassa, o che certe personalità di valore emigrano, quando si dice che comunque l’economia non gira perché le famiglie sono povere … quindi non fanno figli e allo stesso tempo le donne non devono andare a lavorare restando quindi sempre povere…

BG Vuoi dire che è un circolo che non si spezza ma anzi, si rafforza. Non ci sono figli ma non si forniscono gli strumenti per farli. Non si lavora abbastanza però le donne non le si vorrebbe nel mondo del lavoro, non se fanno figli almeno…

SF E tutto questo ancora non è niente perché tra trent’anni, quarant’anni, quando in età pensionabile ci saranno tutte queste donne che sono state costrette a lasciare il lavoro, avremo un numero di pensionate povere, che sarà veramente devastante. Ed è una follia, è una cosa tutta Italiana. Siamo un paese che veramente può davvero essere definito il più ricco del terzo mondo. E’ un paese cieco che non vede più in là dei prossimi tre anni, che non si rende conto del male attraverso cui stiamo passando e che il peggio deve ancora venire. Però siamo tutti pronti a credere alle favolette che ci promettono cambiamenti senza capire che siamo a un livello molto basso, il fondo non è ancora stato toccato ma rialzarsi sarà difficilissimo.

BG Ti ringrazio, Silvia per il tempo che ci hai dedicato.

SF Mi fa sempre piacere parlare di questi argomenti, e sebbene io sia una di quelle persone che ha scelto di lasciare questo paese per esasperazione continuo a lavorare su questo argomento e tornerò in Italia per presentare il documentario. Tacere sarebbe peggio, magari è considerato tempo perso da qualcuno ma non per me.

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Barbara Gozzi – Aprile-Maggio’2008

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Se qualcuno volesse raccontarci la sua esperienza, o semplicemente discuterne, noi siamo qui.
Se preferite c’è l’indirizzo mail di declinate o il mio.

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Apparso su Declinate al Femminile.

Quello che non sapevo

26 giugno 2008

Sapevo.
Che sarebbe stato diverso.
Che tu mi avresti distrutta per poi recuperare ogni coccio, perfino quelli piccoli come chicci di riso.
E che poi mi avresti ricostruita, poco alla volta. Senza fretta.

Sapevo.
Contro quali dolori combattevamo.
E tenacemente resistevamo, ognuno a modo suo, ognuno chiuso dentro alveari stantii costruiti su silenzi e menzogne.

Eppure mi sembrava giusto così, normale.
Lasciarmi andare, ascoltare il rumore del tuo cuore e capire.
Sapevo che potevo arrivare così in fondo da scavarti tra le budella. E tu con me. Uguale. Esattamente lo stesso percorso, esattamente lo stesso rito ingenuo, sottile.


Quello che non sapevo era che avevamo iniziato una cura.

Tu e io, senza ricette o prenotazioni, ci stavamo guarendo. Senza chiedere, oltre i margini dei ruoli e delle definizioni, là stavamo.
E’ stato così che sei diventato la mia medicina, ogni volta più amara, dolorosa. Eppure benefica perché lenitiva. E io lo ero per te, adesso lo vedo chiaramente. Ti guardavo, strappavo parole da quelle labbra secche, inaridite. Ti colpivo senza pietà, ma era un gesto d’amore. Ora lo capisco.

Che sia stato affetto profondo o disperazione, ancora non mi è chiaro. Per quanto, mi sembra poco rilevante ormai.
E’ andata così.
Tu e io, amandoci abbiamo disinfettato ferite vecchie e purulente. Abbiamo aperte le gabbie, quelle stesse gabbie che tanto tenacemente ci eravamo costruiti attorno.

Sapevo, guardandoti negli occhi, che in te c’era qualcosa. L’ho capito subito, la prima volta che ti ho visto.
Ma non potevo immaginare quanto male e quanto bene avresti portato nella mia vita preconfezionata.

>> Parte I

>> Parte II


BG Premettendo che ‘Uno virgola due’ l’ho scoperto da poco, mi sembra però che il progetto meritasse un’altra visibilità.

SF Purtroppo questo è il prezzo che si paga a lavorare in Italia.

BG Infatti te lo volevo proprio chiedere perché sono rimasta stupita. Tra giornali, trasmissioni di approfondimento ed internet, cerco di tenermi aggiornata il più possibile, in un qualche modo ricettiva diciamo eppure questo progetto l’ho scoperto in un blog, per caso. E mi ha fatto riflettere perché è un po’ come voler dire ‘queste tematiche che colpiscono in realtà molte donne, lasciamole in un angolo’. O no?

SF In realtà, quando è uscito il documentario ci sono stati vari articoli sui giornali, ne hanno parlato Repubblica, Famiglia Cristiana, Il Manifesto… sono state pubblicate alcune segnalazioni e mi hanno anche invitato ad alcune trasmissioni televisive, più che altro della mattina. Quando poi, l’anno scorso, è uscito il libro insieme al film, di nuovo c’è stato un po’ di interesse da parte della stampa e delle televisioni. Alla presentazione del libro, e lo ha introdotto Miria Mafai insieme a Francesca Comencini, c’è stato dell’interesse. Proprio un minimo però perché la verità è che, alla fine di tutto, la Rai non lo ha comprato (il documentario – n.d.a). Gli editori a cui mi ero proposta mi hanno detto tutti di no per cui alla fine fortunatamente ho trovato Ediesse che è un piccolissimo editore a distribuzione nazionale e dunque è stato comunque distribuito in tutt’Italia, è possibile trovarlo, il libro con il dvd, più o meno ovunque. La Rai però non ha comprato il film. E se un film del genere non lo trasmette la Rai, chi lo trasmette? Infatti nessun’altro poi si è fatto avanti. Quindi ho avuto molte ottime recensioni al film e al libro, molti giornali italiani e stranieri si sono interessati. Però poi la verità è che il più grande mezzo di comunicazione ovvero la televisione non si è occupata di parlare di questo argomento tanto meno di mandarlo in onda.

BG Sono mancate proprio le forme di divulgazione di massa, mi sembra. Nonostante la tematica sia purtroppo molto diffusa.

SF Non parliamo poi delle grandi distribuzioni come quella cinematografica. E’ impensabile un documentario così che va al cinema in Italia, è praticamente impossibile. Anche il libro, quando è uscito… ci sono state delle librerie, anche a Roma, comunque librerie importanti che lo hanno tenuto in vetrina per qualche tempo. Ma quando poi non lo vedi più in giro perché finisce in uno scaffale in alto, certi libri sono finiti. Perché nessuno lo chiede, non è qualcosa di un autore noto che si può comunque cercare. No? E’ un libro che se non te lo trovi davanti e non leggi il retro di copertina, non lo compri. Comunque mi dicono che ha venduto abbastanza per essere un saggio di un’autrice praticamente sconosciuta insieme a un dvd, deve aver venduto qualcosa come… settecento copie che per l’Italia è già un gran risultato. Ma a me viene da ridere quando mi dicono ‘ guarda che ha venduto tantissimo’… cosa gli rispondo? Poi va bene, si dice che Kafka abbia venduto dieci copie della prima edizione delle ‘Metaformosi’… è chiaro che un libro così ha bisogno di essere reso visibile. Ma ci sono state trasmissioni televisive, senza fare i nomi, comunque importanti, di punta della Rai a cui il progetto era piaciuto molto e quando si è parlato di invitarmi per presentare il lavoro, per un’intervista… diciamo per fare un lancio vero e proprio… parliamo comunque di trasmissioni in fasce orarie di nicchia però seguite, su Rai2 o Rai3… il risultato è stato: ‘ a ma lei non è famosa’. Quindi non mi hanno invitato nonostante il progetto piacesse, e mi avessero spiegato che l’argomento andava assolutamente trattato. Però siccome io non sono famosa… e io ho anche risposto: ‘cosa vuol dire non sono famosa? Chi se ne importa!’

BG Vuoi dire che anche per approfondimenti di questo tipo conta molto l’essere commerciabili? Il potenziale appeal…

SF Assolutamente. Per cui anche in queste trasmissioni vanno di più magari certi attori famosi in quel momento o comici importanti piuttosto che un’autrice sconosciuta. Ma se n’è parlato a lungo, mi hanno telefonato per molti mesi temporeggiando… alla fine mi hanno detto che non si poteva fare. In pratica la figura della giovane autrice regista non famosa… non funziona. No. E’ proprio una cosa che non frega niente. E quindi anche in questi programmi ‘Uno virgola due’ non è passato neanche come messaggio che invece sarebbe stato importante per il progetto, per farlo conoscere.

BG Anche per dare ‘ascolto’ alle storie dentro il documentario e poi riprese nel libro. Perché qui parliamo di realtà molto forti, pesanti. Ci sono vere e proprie denunce…

SF E’ evidente che ci sono molte persone a cui queste cose non interessano per niente se non in certi modi. Mi spiego: ci sono state dopo, a progetto concluso, redazioni che mi hanno chiamato per chiedermi se potevo fornire i contatti delle donne che avevano parlato nel documentario. Perché il caso penoso, che fa piangere tira sempre. Per cui meglio far parlare loro piuttosto che il progetto nel complesso. E devo dire che dopo le prime due o tre trasmissioni a cui alcune sono andate, pensando che fosse un buon modo per parlare di questo argomento poi però si è capito che lo sfruttamento mediatico era semplicemente un ‘vogliamo fare pena’ a chi guarda. Allora hanno iniziato tutte a rifiutare ogni proposta. E non c’è distinzione nelle modalità. Dal programma culturale di rai3, raisat extra, laSette fino a mtv… tutti chiamavano per avere le donne in studio, perché è importante parlare del caso umano che fa audience. E quando, a un certo punto, ho iniziato a rispondere che non potevo più fornire nominativi e che comunque nessuna era più disponibile… si finiva anche per parlare del progetto con la premessa ‘noi non vogliamo lei’ e io ho sempre risposto che non volevo andare, mi interessava che parlassero dell’argomento, del lavoro come messaggio… il punto non era che io volessi o cercassi di andare qui o là. Pochi giornalisti hanno parlato con o senza di me di ‘Uno virgola due’ perché è anche capitato che non fossi a Roma o avessi altri impegni, per cui tranquillamente non sono andata in trasmissione però loro parlavano comunque del lavoro… per esempio punto donna su tg3, rai educational… ci sono stati anche dei giornalisti che ne hanno parlato perfino in televisione e nel modo giusto ma la maggior parte delle richieste era per ‘il caso umano’, per parlare di questo argomento facciamo piangere. E queste sono le classiche dinamiche che mi fanno incazzare perché nel mio film questi elementi non ci sono sono.

BG Infatti nel corso della visione si sente il filo logico ma le interviste vertono sulle circostanze, non c’è spettacolarità nelle riprese…

SF Infatti. L’unico momento in cui c’è questa donna, Maria Grazia, che si emoziona e che piange è un momento che ho deciso di tenere nonostante all’inizio fossi molto indecisa… ma semplicemente perché era importante quello che stava dicendo in quel momento. Ovvero il suo sottolineare che finché gli attacchi (del datore – n.d.a.) li rivolgevano a lei, ci stava, ma quando ha cominciato a capire che erano anche rivolti a sua figlia non c’è stata più, è diventata una iena. E queste affermazioni le dice con le lacrime agli occhi perché pensava a sua figlia non perché si piangesse addosso. Per questo è un momento emozionante che era giusto tenere. Diversamente tutte le donne che hanno partecipato al film, dopo la prima proiezione, mi hanno fatto i complimenti, nessuna si è sentita tradita o usata. Si sono riconosciute tutte nel montaggio delle interviste. Perché stravolgere un’intervista con il montaggio è facilissimo, basta accostare due concetti e hai già cambiato il senso originale. Invece in questo film ho preferito rispettare la sostanza dell’intervista e dell’intervistata anche se avevo sfocature, o tagli improbabili che magari nessun altro regista avrebbe montato me ne sono fregata. Ho lavorato privilegiando il contenuto.

segue…

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Stralcio dal libro:

‘ Alcune sono venute a vedere la prima del film a Roma, molte sono state contattate da giornali e da televisioni perché raccontassero anche a loro le storie di discriminazione che avevano subito. Dopo i primi clamori, però, tutte hanno rifiutato gli inviti. Sono state felici per un momento di poter far sentire le loro voci, ma poi sono ritornate a essere quello che sono sempre state e che vogliono essere: delle donne normali.
Hanno voluto sottolineare che le loro storie sono esemplificative, ma che loro non sono affatto delle eroine. Come loro ogni giorno molte madri affrontano problemi o disagi.”

(pag. 143 – ‘Uno virgola due’ di S.Ferreri- Ediesse)

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Apparso su Declinate al femminile.

>> Parte I

BG Per arrivare a questo risultato, per terminare il progetto, nel libro più che nel documentario si intuiscono tutta una seria di traversie, problemi. Anche a livello pratico. Ti va di raccontarci qual è stata la difficoltà più inaspettata e invece quella che ti ha fatto pensare almeno una volta ‘no, non ce la faccio a finire’?

SF Le difficoltà più grandi in realtà sono state due, contro cui ho sbattuto la testa per tantissimi mesi. La prima è stata quella di trovare donne che si raccontassero, raccogliere del materiale insomma. All’inizio ho messo degli annunci, molte donne mi hanno scritto. Ho ricevuto solo nel primo mese diciamo circa un centinaio di lettere con storie pazzesche, però di queste cento nessuna ha accettato di testimoniare. Allora ho ripreso a cercare, a girare gli ospedali, nei centri anti mobbing, i sindacati, alla ricerca di materiale registrabile. Perché di materiale in realtà ce n’era tantissimo ma era appunto difficile convincere poi le donne a raccontare la loro storia davanti alla telecamera. Chi per vergogna, per umiliazione, o perché ancora lavorava dentro al posto che la discriminava…
Alla fine comunque, certi incontri sono arrivati casualmente. Ad esempio il gruppo di donne che parlano di conciliazione all’inizio, le ho incontrate per strada un giorno che ero in giro a fare interviste e mi sono sembrate molto adatte per raccontare quel particolare aspetto, la conciliazione. Invece, Simona, questa donna di Prato… mi è arrivò una lettera inaspettata dopo che avevo chiesto a varie redazioni materiale e loro non sembrano averne finché mi hanno girato questa lettera che raccontava di un’esperienza allucinante. Un’altra trasmissione, invece, mi ha girato la lettera di Cinzia, quella ragazza che ha subito una grave forma di mobbing lavorando nella televisione. In effetti col tempo le storie sono arrivate anche da fonti a cui avevo lanciato ami che sono tornati indietro, però è stata una ricerca difficilissima.
La seconda grossa difficoltà è stata trovare una donna che accettasse di farsi riprendere durante il parto.

BG In effetti, su questo aspetto sono rimasta sorpresa. Premetto che ho comprato ‘Uno virgola due’ e l’ho visionato di recente. Per cui siccome adesso siamo molto abituati a quest’invasione di docu-soap, reality di vario tipo… pensavo ingenuamente che le riprese del parto le avessi registrate subito proprio perché oggi siamo invasi da questo tipo di trasmissioni, poi tu lo sai perché ne accenni anche nella parte finale del libro. Ci sono tante forme di divulgazione, tante donne che accettano di farsi riprendere anche in momenti delicati. In realtà, dal libro sembra invece che sia più una questione di visibilità o no?

SF Assolutamente. Quando ho iniziato a cercare, e lo racconto anche nel libro, la donna che mi facesse riprendere il suo parto, questi reality sulla maternità ancora non esisteva. Ero in contatto con vari ospedali tra cui il San Camillo e pareva che non si trovasse una donna disposta a farsi riprendere. Ho passato mesi in attesa, a parlare con le ginecologhe, i medici e il primario… le uniche che trovavo erano straniere che lo avrebbero fatto in cambio di soldi, però era una cosa che io non volevo fare. Innanzi tutto perché non volevo pagare, una circostanza del genere al di là di eventuali regali fatti poi a Monia e ai suoi bambini ma fatti col cuore perché veder nascere questa bambina è stato incredibile… io non lo volevo comprare un momento così. Poi era necessario che fosse una donna italiana dal momento che si parla di natalità italiana anche perché se ci mettiamo a ragionare sulla natalità degli stranieri la questione cambia notevolmente. Cercavo una donna italiana e non riuscivo a trovarla. Poi ho scoperto che, invece, l’ospedale San Camillo era invaso dalle telecamere di Fox che iniziavano a girare questo reality sulla maternità e lì sono diventata una bestia perché allora ho capito che era evidentemente una questione di visibilità, di soldi, di diventare famose. Andava bene per Fox, per Bonolis che quando voleva fare la trasmissione sul passaggio al nuovo millennio, in ospedale mi raccontavano di donne che si facevano iniettare la sostanza che accelera le contrazioni per essere quelle da riprendere mentre facevano il primo nato del millennio. E questi risvolti qui mi hanno veramente disgustato.
Invece poi ho incontrato questa donna, senza nessuna pretesa, che non ha voluto niente ma ha chiesto di incontrarmi perché aveva saputo del progetto. Voleva solo parlarmi e capire che tipo di persona ero, sperava di poter avere le ripresa del suo parto. E ha accettato per questo, senza chiedere niente. Così sono stata in sala travaglio con lei, tutto il tempo, io e un altro operatore e le ho detto più volte che potevano – lei e suo marito – in qualsiasi momento chiederci di uscire e noi avremmo spento tutto e ce ne saremmo andati ma non hanno detto nulla. In questo sono stata fortunata. Lei tra l’altro è stata molto silenziosa, si sentivano delle urla pazzesche dalle altre sale e io le ho anche chiesto ‘ma come fai?’ ma lei mi ha risposto che comunque anche urlando non cambiava niente. Una donna splendida, senza voler saper nulla, le è bastato incontrarmi e guardarmi in faccia. Mi ha scioccato questo risvolto, per la sua semplicità, senza nessuna idea di immagine.
Questa comunque è stata una difficoltà che mi ha davvero demoralizzato perché alla fine c’era la produzione che mi chiedeva di chiudere, erano dodici mesi che raccoglievo materiali. Non potevamo aspettare ancora. Per cui a un certo punto mi sono data una scadenza anche se sapevo che, senza le scene del parto, il documentario non sarebbe stato come lo avevo immaginato.

BG Oltre tutto, dopo, ti aspettava un grosso lavoro. Nel libro accenni a più di cinquanta ore registrate solo di testimonianze dirette. Dopo, quindi, c’è stata la fase di selezione, analisi e scelta non facile tra le storie che avevi raccolto.

SF Infatti. Ma ho capito che io sono così. Adesso sto girando un nuovo lavoro e ho già registrato sessanta ore e me ne mancano altre quattro o cinque. Per cui è il mio modo di girare, evidentemente. Magari vado a prendere i momenti più impensati. Poi il lavoro di montaggio è quello più faticoso ma anche oneroso a livello di tempo.

Segue…

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Segnalazione per chi abita vicino a Modena:

Martedì 20 maggio 2008 alle ore 21 presso La Tenda in viale Molza: Donne: che tempi! Conciliazione dei tempi tra lavoro, famiglia e libertà. Proiezione di Uno virgola due di Silvia Ferreri, 52′, Italia, 2005. Tindara Addabbo, dell’Università di Modena e Reggio Emilia, intervista la regista.
Altre informazioni qui.
Nel caso, ci si potrebbe vedere là.

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Vi propongo una sorta di salto spazio-temporale attraverso due spunti:

1
Qui trovare alcune prime annotazioni, del neo ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna. “Le mie idee per la famiglia e le donne”.
Vorrei che le leggeste e le teneste ‘in un cassetto’. Più avanti in quest’intervista con Silvia Ferreri arriveremo a parlare anche di questo. Del perché, secondo lei, oggi l’Italia è il primo paese del Terzo Mondo. Che è un’affermazione forte. Ma capirete strada facendo.
Intanto, arrivare a focalizzare gli obbiettivi di un nuovo Governo mi sembra comunque importante (comunque rispetto all’ideologia politica di ognuno, intendo). Obbiettivi che non vuol dire ‘realizzazione’, ma intanto da lì si inizia, di solito.

2
Uno stralcio tratto dal libro che accenna a ragionamenti su cui ci soffermeremo la prossima settimana:
” Forse la soluzione del problema non sta nelle concessioni ma nel far si che gli interessi della lavoratrice e quelli dell’azienda coincidano. […] E’ evidente che se le donne fanno parte del mercato del lavoro, le aziende devono imparare ad assorbirle e ad utilizzarle in tutta la loro complessità e versatilità.” (pag.58 – ‘Uno virgola due’ di S.Ferreri)


Barbara

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Apparso su Declinate al Femminile.

Quella che segue è un’intervista telefonica che ho registrato con Silvia Ferreri, autrice del progetto ‘Uno virgola due’ che nel 2007 è diventato un documentario acquistabile con il libro- backstage.

Ma Silvia Ferreri non è una scrittrice. Ha frequentato il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma come attrice e dal 1999 lavora, appunto, come attrice per il cinema e la televisione oltre che per il teatro, in numerose produzioni italiane e straniere. “Uno virgola due”, da lei scritto e diretto, è diventato dopo due anni il suo primo film da regista.

Chi segue l’E-magazine sa che ho già scritto di questo progetto QUI.

Alla fine ho provato a contattarla, senza troppe speranze in realtà.

Invece ho scoperto una donna disponibile, attenta e convinta del progetto quanto consapevole della difficile situazione delle donne-madri-lavoratrici italiane.

E ci siamo incrociate in una di quelle ‘finestre temporali’ in cui potevamo sfiorarci, io dal bolognese e lei in viaggio, attraverso un nuovo importante transito.

Riporto dunque, l’intervista telefonica integralmente (attraverso più post in pubblicazione nelle prossime settimane). Integralmente e senza filtri. Il linguaggio che leggerete è decisamente quello ‘del parlato’ che esprime anche l’atmosfera che si è creata tra noi scambiandoci informazioni, quesiti ed esperienze.

Ci tengo a ringraziarla ancora prima di iniziare questa ‘trascrizione’ perché davvero mi ha dato modo di approfondire il suo lavoro, le tematiche e quelle difficoltà, mancanze, disagi e ingiustizie che ha potuto ‘toccare con mano’ incontrando tante lavoratrici madri e ascoltandone le storie, a volte allucinanti. Realtà che sembrano lontane, quasi finte tanto sono ‘troppo’ e che invece accadono a una strada di distanza da noi (a volte non c’è neanche quella a separarci da loro, che poi siamo noi). Grazie Silvia.
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BG Iniziamo dal documentario: diciamo che ci si aspetterebbe una sequenza di interviste, di esperienze. Invece il documentario è qualcos’altro. Tu l’hai strutturato in un modo ben preciso. Hai voglia di parlarcene, di spiegare cosa speravi di lasciare?

SF In realtà la struttura del film è venuta col tempo, nel senso che all’inizio ho raccolto il materiale. Dopo di che ho cercato di realizzare le interviste, e non era semplice perché anche se c’erano le storie era poi molto difficile convincere le donne a raccontarle davanti alla videocamera. Dopo le interviste vere e proprie, comunque, è nata la struttura del film anche se l’idea del parto c’era dall’inizio perché secondo me era perfetto per il messaggio. Purtroppo è stato molto difficile trovare una donna disposta a farsi riprendere durante il parto.
Infine, tutta la storia della mia famiglia che si interseca, si alterna con le interviste, anche questa è stata una scelta venuta col tempo. Il problema era che avevo dei dati dell’Istat che avevo bisogno di raccontare. Quando però ho chiesto alle ricercatrici un’intervista, sono sorti tantissimi problemi. Alla fine, dopo vari passaggi burocratici, ci hanno concesso l’intervista ma la ricercatrice ci ha detto che poteva solo leggerci i dati perché non poteva commentarli tanto meno raccontarli. In pratica ho avuto tantissimo materiale dall’Istat, che le ricercatrici mi hanno spiegato e raccontato, ma a telecamera spenta. Poi, però, non avevo i mezzi per spiegarli, questi numeri. Così alla fine ho aggiunto i riferimenti della mia famiglia, che in un qualche modo coincidevano con quelli dell’Istat rispetto alla natalità, per cui questo inserimento è venuto dopo.

BG Devo dire che secondo me, i flash con le donne della tua famiglia, sono una delle parti più ad effetto, nel documentario. C’è questa casualità che rimane molto addosso. Nel finale poi, fai un riassunto molto significativo e lì è facile immedesimarsi e capire quel ‘ Mia nonna ha fatto…, mia madre…’.

SF Assolutamente. Perché poi mi sono resa conto che la mia famiglia rispecchiava perfettamente i dati dell’Istat di natalità e oscillazioni. Per cui ho deciso alla fine di usare le foto e la mia storia girata in questo modo per raccontare dei numeri che altrimenti sarebbero rimasti appunto, solo dei numeri.

BG In effetti è complicato mostrare con la telecamera situazioni schematizzate da statiche. Diventa quasi stantio.

SF Esatto. Sarebbe stato troppo pesante e sicuramente non avrebbe avuto un effetto così forte, nel senso che non sarebbero poi rimasti così impressi, quei dati. E invece in questo modo, attraverso quei numeri si spiegano anche vari fenomeni che riguardano la natalità come il baby boom, la conciliazione che inizia negli anni’70, la posticipazione che risale agli anni’90… tutta una serie di fenomeni che evidentemente hanno attraversato la mia famiglia con precisione. Per cui mi è sembrato il modo giusto, naturale per raccontarli.

BG Quindi ti ritrovi in quel ‘uno virgola due’ che sul finire del documentario, secondo me anche un po’ provocatoriamente, rappresenti? A conclusione delle interviste dici appunto ‘Mia nonna ha fatto…, mia madre…, mia sorella… ‘ poi finisci con ‘ e io ho fatto un documentario’. Tu ti ci ritrovi ancora dentro questo ‘uno virgola due’, insomma?

SF Al momento io sono a ‘zero’, però come categoria certo. Sono il frutto esatto di quella che è la posticipazione rispetto alla natalità. Ho trentacinque anni, ancora non ho figli e pur volendoli sto aspettando.

Segue…

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Sempre a proposito di ‘statistiche’ e numeri, ho rintracciato un post sul blog ‘Dolcemente complicate’ del gruppo blogosfere. Risale al 21 Aprile 2007 . Come si è detto, i numeri sono freddi, è difficile capirli a fondo o ricordarli se non ci toccano da vicino, se non diventano immagini precise o storie. Ebbene, mi hanno colpito molto queste affermazioni:

” …in Italia il 51% delle donne dopo aver partorito per la prima volta decide di dedicarsi full time al ruolo di mamma e casalinga. ”

“Ricordiamoci che esistono Paesi, come la Svezia per esempio, dove nascono molti più bambini rispetto all’Italia ma dove la partecipazione femminile al mercato del lavoro è dell’80% contro lo scarso 50% del nostro Paese!”

I dati provengono da un’indagine condotta da Ipsos per conto dell’Osservatorio Lines che ha incrociato i dati ufficiali dell’Istat con le interviste a 1.000 donne occupate di età compresa tra i 20 e i 49 anni.

E sulle scelte di vita non si discute.
Eppure mi piacerebbe davvero sapere quali – tra i numeri di cui sopra o quelli dell’Istat – rappresentano scelte consapevoli e libere piuttosto che obblighi o comunque strade percorse perché altro non si poteva fare.
Perché in effetti è tutta lì la differenza, secondo me.
Non è una questione di migliore o peggiore, brava o cattiva madre/lavoratrice. Si può decidere di rimanere a casa coi figli tanto quanto di proseguire a lavorare dopo il parto (se, si può fare una scelta, intendo più che altro dal punto di vista economico).
Le scelte libere non sono nient’altro che questo: percorsi volontari.
Ma quando si viene indirizzati verso una certa strada da altri… ecco. Lì mi fermo a riflettere. Poi magari pesto i piedi e urlo. Dipende.

Barbara

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Apparso su Declinate al femminile.