Per te

29 settembre 2009

Scrivere perché altro non si può.
E’ quello che faccio ora.
Scrivere perché questo mi resta, nell’inutilità, incapacità, pochezza di gesti, parole pronunciate, peso soffocante trattenuto.
Scrivere di un bambino che per anni, anni e ancora anni ci ha provato. A vivere.
Ma che adesso – oggi – in queste ore sta aspettando. Di morire.

A casa, quella che doveva essere anche la sua casa ma che poi forse non ha mai conosciuto, non quanto le camere asettiche e disinfettate degli ospedali. Assieme ai volti di altri mancati adulti che come lui entravano e uscivano. E il dolore, quel male addosso inestirpabile, risucchio ingorgo, sgrassatore del non sporco che siamo.

Non è più umano, mi è stato detto poco fa. Si sussurra tra muri carezzati dal sole di un fine settembre frizzante, aggrappato a un calore fatto di dilatazioni ma che resiste all’autunno nebbioso a cui la piana è abituata.
Non è più umano, è morfina. E mentre lo scrivo la pelle fa male, gli occhi fanno male, la gola fa male, il petto fa male. Un male invisibile, che va controllato, mascherato, celato. Non è posto entro cui cedergli, questo da cui scrivo.

Eppure me ne sto qui, lontana. Non conosco quella casa. Qualche volto, qualche mano – si – qualche sguardo, qualche frammento di frase detta a suo tempo, detta in diversi tempi, quelli che hanno scandito l’otto volante di una vita piccola e grandissima.

Io me ne sto qui e penso che sono una maledetta vigliacca. Una maledetta vigliacca che non c’entra. Con quella famiglia. Con quella madre che ha ceduto a un figlio. Che ha lasciato il resto, l’altra figlia più piccola in età, che ha lasciato il resto-tutto per mesi, anni di investigazioni, segugio fidato, ammalato a sua volta d’un amore che non può finire rinchiuso entro gabbie di sensi pre-confenzionati. Che non si può qualificare. Io non c’entro. Ma ho visto. E questo sole oggi mi disturba. Quest’aria tiepida mi fa lacrimare. Questo ticchettare sulla tastiera levigata è distruttivo, lingua ruvida che saggia senza sentire, che vorrebbe. Non provare nulla, staccare telefoni, luci, richiami. Vorrebbe urlare, correre, sudare fino a vomitare il caffè della colazione, i residui della cena a tarda ora e i succhi gastrici in perenne produzione costante. Vorrebbe.

Che non ci fossero corpi destinati a morire prima di aver goduto – un pò, qualcosa, appena – questo loro esserlo. Carne. Capacità. Occhi. Dita. Labbra. Voglie. Odori. Suoni. Amori. Fatiche. Colori. Scegliere. Cadere. Rotolare. Perdere. Ritrovare. Essere, essere, essere.

Io me ne sto qui e mi chiedo se tutto questo è qualcosa di nominabile.
E un abbraccio, uno solo, piccolo, delicatissimo, sfiorandoti a mala pena. Un abbraccio te lo vorrei lasciare, creatura in viaggio, umana-non umana che importa? Un abbraccio di parole è tutto quello che posso. Per te.

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Pensando a D.
Martedì 29 Settembre, ore 10.30
giornata lavorativa.

Verminsetti

20 aprile 2009

Facevi la ricercatrice e ti piaceva, si vedeva da come ti muovevi fluida, sicura di te. Il camice poi ti donava. Eri una bella donna, niente da dire. Slanciata, curata e dal sorriso facile.
Lavoravi in un laboratorio sperimentale, praticamente ci vivevi.
Cercavi una certa proteina negli insetti ma anche tra i vermi, usavi spesso paroloni come ‘platelminti’ e ‘ nematodi’ ma, comunque te la rigiravi, erano stramaledetti vermi viscidi, umidicci e poco inclini alla compagnia. Eri circondata da cubi di vetro straripanti di varietà tenute in vita finché il bisturi e la chimica li reclamavano.
Ti piaceva quello che facevi, avevi le ‘manine d’oro’ come sussurravano i colleghi, prima di ridacchiare tra loro.
Ma il grande capo no, a lui non piacevi.
Ti riceveva nel suo ufficio quasi ogni giorno e accendeva un disco, sempre lo stesso, ripetitivo e stagnante. Eri la sua bambina cattiva, non c’era modo di evitarlo, eri l’elemento disturbante da schiacciare, il tuo ronzare lo infastidiva. Allora ti metteva in un angolo per riempirti di parole inconsistenti, cave ma che aprivano nuove ferite, scavavano tra carne e sangue fluido.

Un giorno, uscendo, hai deciso.
Pochi istanti e avevi la soluzione in mano, tra la pelle.
Se non eri abbastanza brava, all’altezza come si dice, se non ci arrivavi ragionando, studiando, sezionando. Se da sola non eri abbastanza.
Avresti ottenuto l’unico aiuto che nessun altro era disposto a chiedere.
Quello di insetti e vermi.
Ne hai liberati alcuni, piano, con cautela. Loro ti amavano già, lo sentivi da come volavano e strisciavano corteggiandoti. Ti sei spogliata lasciando che il tuo corpo si mostrasse, hai chiuso gli occhi e sei rimasta in piedi, immobile e vuota.
Le zampette erano fresche, molli, sulla tua pelle tiepida. Li hai sentiti scivolare, camminarti sopra e non pensavi a niente. Stavi stringendo un patto, non ti serviva altro.
Ti sono entrati dentro senza fretta, ognuno seguendo una strada diversa, sul tuo corpo dolente, abbandonato.

Seduta nel solito ufficio ti sentivi stranamente calma, galleggiavi insieme ai tuoi verminsetti. Il capo, il Professore, neanche ti ha guardata, impegnato a leggere mucchi di scartoffie.
E hai lasciato che parlasse come sempre. Nuvole, fumo, coas inutile, ti divertiva sentire il suono stridulo della sua voce. Finalmente era solo un uomo qualunque, che per sopravvivere usava gli altri come pavimento.
Quando ti sei alzata l’occhio destro ti sanguinava, erano loro, i verminsetti che lavoravano su di te. Per te. Il Professore era ammutolito, ti ha lasciata fare perché anche lui aveva capito chi eri. Silenzio, lo ricordi com’era tesa l’aria, elettrica?
Ti sei avvicinata alla lavagna nera, enorme roccaforte del potere, e hai iniziato ad incidere simboli, legami chimici, linee varie. Ormai i vestiti si muovevano da soli, i verminsetti correvano su di te, entravano e uscivano ipnotizzati dalla tua perfezione.
Eri soddisfatta. Ti sentivi bene, eterea.
Allora perché? Te lo sei mai chiesta dopo, in quel brevissimo attimo prima che?

Nessuno è venuto a cercarti.
Sei entrata in uno dei piccoli laboratori per studenti, dopo le cinque quelle stanze asettiche diventavano il regno delle creature non umane. E tu te ne stavi lì seduta, inebetita e piena, in preda a un’indigestione infinita.
Finché l’hai visto.
Non potevi non notarlo, ti è uscito dai pantaloni.
Lungo e liscio, almeno quanto un braccio. Un tronco sottile ma ben formato, occhietti brillanti, inespressivi.
L’hai chiamato per nome, ma non te ne sei preoccupata. Lo sapevi e basta. Lo accarezzavi e dentro di te cresceva una nuova sicurezza. Sapevi e potevi, il resto – il mondo – era un’inutile miniatura. Non avevi bisogno dell’approvazione del Professore, delle risate dei colleghi, del camice.
Ti bastavano loro, piccoli e indifesi eppure solidi, secoli di esperienze e sopravvivenze mute. I loro corpi molli, gusci sottili, erano il tuo. I loro sensi confusi, deformati, e quel modo di vedere da lontano, tutto ti apparteneva ormai.

La puzza all’improvviso ti ha svegliata. Sangue marcio, fluido lungo la gola, sul petto.
Il verminsetto enorme ti si era attaccato alla gola e stringeva.
Hai urlato, sentivi le ossa stridere, cartilagini pronte a cedere.
Avevi paura.
Per la prima volta ti sei vista esattamente – tristemente – per quella che eri.
Avevi trasformato il tuo sapere, ti eri plasmata nel corpo, accettando le intrusioni, abbandonandoti a una condizione da ospite. Tutto senza chiedere, lasciandoli fare, accogliendoli come vecchi amanti mai dimenticati.
E a loro interessavi tu, certo, ti volevano fino alla fine.
Ma in quella fine, in quel morso che ti stringeva la gola mentre sentivi i piccoli denti appuntiti, in quella stretta c’era il sapore amarognolo, legnoso, della sconfitta.

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Racconto apparso su Fogli bianchi.

Sottotitolo: sembrano tutte scene ‘troppo’, invece non lo so. Altro che.

PERSONAGGI

Uno scrittorucolo in tentata emersione. Abbreviato come S_olo;
Vari editori, di numero imprecisato ma tutti diversi o quasi (dipende dalle esigenze del momento).

LOCATION

Dove vi pare (tanto non cambia niente) ma all’aperto, almeno si cambia l’aria.

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S_olo  Le vorrei lasciare il mio ultimo manoscritto. Guardi, parla di un uomo che…
Editore1  Per carità! Non ricominciamo con le faccende ‘di ombelico’ che ormai non fregano più a nessuno: poi, mi dia retta, è molto più terapeutico un professionista… psico quella roba lì. Mi creda. Né esce che è un altro.

S_olo  … poi, cosa vuole, c’è molto sesso perché è lì che si concentra la narrazione…
Editore2  Va bene, ma non mi dica che questa è letteratura! E che cavolo… spingi di quà, ansima di là, sono capaci tutti, perfino io, che ne ho letta di robaccia.

S_olo  Stavolta ho usato un altro registro, la protagonista è una giovane mamma che si destreggia tra il figlio piccolo, lo shopping e le amiche. Ma tutto in modo ironico, sa, frizzante….
Editore3  Ah, ho capito. Sono quelle robe da ‘pollastrelle’. Sarà anche intrattenimento ma insomma, siamo un pò strettini come target. Voglio dire: ai maschietti mica posso far leggere stè cretinate qui sulle cerette e tutto il resto!

S_olo  No, è un noir dove approfondisco l’omicidio di una donna mutilata….
Editore4  Si, si va bene. Ma insomma, non le sembra che di cronaca nera ne abbiamo già abbastanza? Poi, scusi, lei non è un giornalista, vero? Appunto. Allora guardi, certe volte c’è bisogno dell’occhio allenato di uno che di mestiere ci sta addosso, a certe tragedie. Perché poi, ci scappa una questione sulla tal goccia di sangue o sulla strumentalizzazione dei pianti… non ha idea del casino…

S_olo … è tutto incentrato sulle interviste che ho fatto davvero a queste donne precarie, solo che nella narrazione….
Editore5  Senta un pò: ma di sesso ce ne ha messo? No, perché, nella trama ci sta alla perfezione e riusciamo ad ingrandire il bacino d’utenza…

S_olo  Ho dovuto studiare molto, le condizioni sociali di allora, la guerra, la situazione geo politica…
Editore6  Vabbuò, ma non è che stiamo esagerando? Alle gente, magari, viene anche voglia di leggere robetta leggera ogni tanto, se no si sparano poveracci….

S_olo … alla fine smette di mangiare del tutto e muore.
Editore7  Mi faccia vedere un attimo… no, non lo scritto, lei. Ah no. Non ci siamo per niente. Le sembra che la posso mandare in tivvvvù con quella faccia lì? Poi, senta, parlo piano così non si imbarazza: lei l’ha mai fatta una dieta seria? No perché, le farebbe bene sa.

S_olo   Ho cercato uno stile misto, mio insomma, allacciandomi alla passione per…
Editore8  Ma lei chi è, in definitiva? Ce l’ha il valore aggiunto? Il manoscritto lo leggo dopo, caso mai. Però bisogna chiarire questa faccenda altrimenti perdiamo tutti tempo prezioso. Allora? Vizi? Segreti? Conoscenze?… Roba da matti: questi vengono qui a rompere i coglioni e non si sono scopati neanche un cane….

S_olo   … non assomiglia a nessuna delle famose trame di fantasy, mi creda, ho puntato molto sull’originalità…
Editore9   Ottimo. E un romanzo storico, no? Glielo dico perchè oggi sono molto ricercati. Anche i fantasy, specie per ragazzi, per carità… solo che con lo storico, magari un pò fantasy sfondiamo di sicuro….

S_olo   Lo stile è ermetico, asciutto direi. Volevo far arrivare i personaggi senza perdermi in virgole e punti…
Editore10   E una storia d’amore c’è vero? Le passioni, i batticuori, le attese… lasci perdere la faccenda dell’attentato, cosa crede? Anche quelli lì che fanno casini in politica o nell’esercito si innamorano! Figuriamoci…

S_olo esce di scena correndo e urlano.

Cosa si fa quando si ha l’impressione di avere una vita sbagliata?

Non ti seguo. Ma come parli? Sembri un poeta bohemienne.

Dico sul serio, la pianti? Ce la fai a sostenere un discorso serio per dieci minuti al giorno?

Ok, ok, non ti scaldare. Siamo suscettibili oggi. Allora, cos’è che dicevi?

Niente. Stronzate post romantiche demenziali.

Sei un gran bel tipo, però. Cosa c’è poi di così sbagliato nella tua vita?

Non ho detto che parlavo di me.

Ah no? Come vuoi. In che percentuale?

Cosa?

Lo sbaglio.

Diciamo il sessanta, settanta per cento.

Azz. Allora è roba grossa.

Ti ho detto che non importa.

Ballista. Comunque secondo me dipende da cosa intendi per ‘sbagliato’.

Addirittura? Adesso processiamo le intenzioni di una parola? Finiamola qui e basta.

La smetti di alzare la voce? Chi è che scappa adesso? Intendevo dire che può essere sbagliato nel senso di. Come dire. Diverso da quello che uno si aspettava. O magari. Insomma. Sbagliato come scombussolato, incasinato, deprimente. Non sono mica la stessa cosa.

Sbagliato come stonato, troppo doloroso. Va bene così?

Forse dovresti smetterla.

Oh?

Di fingere.

Cosa c’entra adesso? Ti ho detto che.

Ti senti sbagliato perché questa vita qui non è la tua, in realtà. E’ un’architettura per il tuo ologramma. Per quello che vuoi o devi essere. Fai tu.

E chi sarei, allora? Spara. Sono curioso adesso.

Un maledetto granello di sabbia.

Ricordi

15 gennaio 2009

L’odore intenso, avvolgente, dolciastro di un profumo che stava sempre dentro una scatola rosa antico misto all’arancione, con la scritta enorme in nero. Io la fissavo, la scatola, con la punta dei piedi mi allungavo il più possibile ma non ci arrivavo mai. A prenderla. E quell’odore, che sapeva di buono, era ovunque a casa di mia nonna. Sui divani, sul cuscino, tra i vestiti, quando la abbracciavo. Chiudevo gli occhi e mi sentivo bene.
Il profumo era Paris.
E c’è ancora, a casa di mia nonna.
Solo che lei non se lo ricorda granché ormai.
Il signor A. si sta nutrendo del suo cervello. Ogni giorno di più. Divora e porta via quello che può, dalla sua testa: persone, mobili, odori, suoni.
Ricordi.


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Ieri, leggendo un post di Barbara Garlaschelli che chiedeva dei ricordi, mi è venuto in mente questo.
Ed è straordinario il potere dell’istinto, la forza dei frammenti che abbiamo incastrati in testa senza neanche saperlo. Certe volte è una scossa, un’enorme siringa silenziosa. Arriva. Inietta. Sparisce.
Quel preciso odore mi è tornato addosso davvero.

(Post pubblicato su ProgettoButterfly di agosto 2008)