Consapevolezza pericolosa

15 settembre 2008

– Hai letto l’altro ieri di quella bambina che…
– Ma lascia perdere per favore, mi fai venire mal di stomaco la mattina presto!
– Come siamo delicatucci…

– Era solo per dire che col sesso si va ormai ovunque…
– Sai che novità.
– Intendevo già a dieci, dodici anni. Sanno come fare e non si fanno troppi problemi.
– Infatti siamo proprio alla frutta.
– Se lo dici tu.
– Perché, a te sembra normale? Che una ‘bambina’, perché cavolo, se non sei bambina a dodici anni cosa sei? Comunque, a quell’età lì, che magari manco hai le mestruazioni, eppure già sai come muovere il corpo, come giocare con la sessualità…
– Non è che ci voglia poi una laurea.
– Noi a quell’età lì forse avevamo qualche vago pensiero, facevamo gli asini se vuoi, ma eravamo anni luce da queste robe qui, dai, ammettilo!
– No, infatti.
– Oggi c’è una consapevolezza pericolosa.
– Sarebbe a dire?
– I giovani sanno che possono ottenere quello che vogliono anche se i genitori li ostacolano. Basta usare internet o darla via a pagamento… non è neanche troppo difficile. Usano i cellulari come fossero prolungamenti delle mani per non parlare dei computer…

– Ti pare che a noi veniva in mente di fotografarci proprio lì, per poi vendere gli scatti? E poi con che cosa? Te la immagini la faccia del fotografo, del Ciccio, ad esempio, mentre ci allunga le foto e ci dice il conto? (Risata bassa)

– Allora? Non sei d’accordo?
– No. Cioè, si. E’ vero. Solo.

(silenzio)

Sei pronta, baby?

8 dicembre 2007

Ci sono temi che ci stanno più a cuore.
E non c’è niente da fare.
Che si sia abili o meno con la penna o con la parola, loro, esserini infaticabili, ossessioni notturne, loro, monopolizzeranno pensieri, discorsi e a volte scritti.
Le mie ossessioni sono varie, diverse tra loro, coesistono nella mia testa e mutano, si allargano come olio caldo che scivola nelle fessure, giù (sempre più giù).

Le malattie, i bambini, i disturbi alimentari, l’autodistruzione, la solitudine, l’incomunicabilità, i moti del cuore, i dettagli, il lato più buio, le menti deviate, la morte, le assurdità sociali, i silenzi distruttivi, i cieli…

… e le violenze.

Spesso quando si parla di violenze sessuali ci si concentra sul fatto, come, cosa, dove, perché, volontarietà e negazione. Oppure si seguono le reazioni, le sequenze immediatamente successive, si cerca il colpevole, si ricostruisce la dinamica, si condanna questo o quell’altro, si ascoltano i pensieri.
C’è però anche un post stupro nel lungo periodo, per così dire. Quando la polvere torna a mescolarsi con la terra, i volti si spostano, si riprende a correre e fare e dire, la vita torna a seguire un ritmo regolare (ma lo ha mai abbandonato?), quel ritmo regolare che ci fa stare tranquilli. Solo che lei, la vittima di una violenza sessuale non se lo ricorda più, quel ritmo lì. Si scopre segnata in un modo che è impossibile nascondere (a se e agli altri). Sente odori diversi, i colori sono insipidi e certe volte le sue reazioni sembrano assurde, repentine, strane. Si scopre estranea a eventi e circostanze che invece prima erano familiari, routine. Le vittime di una violenza sessuale non dimenticano e devono combattere contro demoni che se ne fregano del tempo, della gente e dell’amore. Sono insistenti e meschini (sbucano fuori senza preavviso, basta un dettaglio insignificante, un tocco nuovo o un suono simile a). Le vittime di una violenza sessuale sanno. Che il prima non esiste più e quel qualcosa che è stato rubato non lo si potrà riavere indietro, è perduto, è diventato qualcos’altro. I demoni di uno stupro sono cicatrici permanenti che ogni tanto si svegliano e fanno male (un male d’inferno). Ma si va avanti, si arranca, si boccheggia fino a sera, quando finalmente si potrà tentare il riposo di corpo e mente (e sperare, di nascosto, avvolte nel buio della notte, in mezzo a quel silenzio sospeso che solo in mezzo al sonno esiste).
Ecco.
Di questo volevo scrivere. Che è una delle tante angolazioni, senza la pretesa di essere o sapere o generalizzare.
Così è nato un racconto, è ‘uscito da solo, in una notte (giusto un paio d’ore frenetiche, schizzate, possedute ).
Poi è rimasto a sonnecchiare. L’ho riscritto varie volte, e per riscritto intendo proprio parola per parola, ogni volta lo strato si ispessiva, ogni volta la carne era più nuda.
Finché ha trovato una strada (la sua) e oggi respira sulla carta. E per questo ringrazio
Misia Donati che lesse la stesura ombelicale e mi lanciò i primi input, Francesca Mazzucato che pubblicò sul blog di ‘Declinato al femminile’ il colpo di coda di questo racconto, Thereupon, ovvero un ultimo respiro rimastomi tra gli occhi, grezzo, istitintivo e Walter Pozzi che ci ha creduto (e non è poco) al punto da pubblicarlo.
Il racconto si chiama ‘Sei pronta, baby?‘ ed è stato inserito nel numero 5 (dicembre-gennaio) della rivista culturale ‘PaginaUno’. (Qui potete trovare alcune informazioni).

‘Sei pronta, baby?’ è decisamente un frammento di me. Forse l’unico frammento di cui, fin ora, vado fiera incondizionatamente (senza i se, ma , però, forse che invece mi accompagnano in ogni cosa che scrivo). Lo stile è quello che è (il mio direi o comunque la pelle che oggi mi rappresenta) ma sono le emozioni che fanno la differenza. Il sentire, sentirlo, quel dolore lì, che spero arrivi anche a chi legge. Comunque sia, questo racconto è un pezzetto di me (del mio cuore). La storia non è autobiografica, ma i sentimenti si.

Isabella è stata violentata. Ripetutamente. In passato. Da una persona che conosce bene.
Isabella è Lei e l’Altra. Lei che vorrebbe dimenticare e l’Altra che schiuma rabbia. Lei e l’Altra si rincontrano nei sogni, ogni notte, e tornano là, dove succedeva, dove lui. E là ricostruiscono aspettando la liberazione dalle sofferenze più feroci (che neanche il tempo sembra lavare via). Là si scontrano. Ricordano. Tremano. Odiano. Piangono. Digeriscono.

Vorrei che questo frammento di me raggiungesse chiunque lo volesse con se.
Basta contattarmi via mail (gozzib@tiscali.it) e lo invierò via posta prioritaria a mio carico.

Persiceto, lì 8/12/2007
Barbara Gozzi