Pillole da un libro (agitare con cura)

Pensando a ‘Mondoserpente’ di Paolo Grugni (Alacran Edizioni) mi vengono in mente due concetti: punto di rottura, flessione sperimentale.
Di fatto è un romanzo che gioca coi punti di rottura, e ci gioca premendoci contro il più possibile, miscelando tecniche narrative, andando a plasmare uno stile che assembla, abbandona punteggiatura e convenzioni che segnalano. (Ir)rompe strutture. Passato, presente, discorsi diretti, pensieri. Tutto pulsante, ‘vivo’ in quanto depurato da sospensioni e intermezzi formali. Tutto assieme, in un gioco di incastri tra prosa, poesia, e struttura simil teatrale usata per i dialoghi.

Il ricordo
Non rende immortali
è il ricordo
a rendere mortali
le persone
perché se non so che esisti
tu non puoi morire
e non puoi
farmi morire
(pag.201)

È una lingua sensoriale, quella di Grugni. Che nella forma muta pelle. Mentre la storia, il ‘come’ che è fondamentale per catturare attenzioni, incatenare il lettore e presentare situazioni, personaggi; il come dunque mastica gli svolgimenti, li tende e rilascia a piacimento.

Stirpe si siede su un lato del divano, Mary su quello opposto – non volevi offrirmi un caffè – si, subito – lei si alza, in cucina rumore di tazzine lavate, poi il soffio asmatico di una fiamma che si accende, la raggiunge e l’abbraccia da dietro – non ti sembra di andare troppo in fretta – scusa – ma non toglie le mani dal seno, o questa volta o mai più, lei si gira e lo bacia, le lingue ruvide e le mani che si aggrappano ai genitali, l’inizio di un amore, bei ricordi, ci ripensa, la fine era lontana, ma se è vero che c’è un inizio allora c’è anche una fine, quindi una cosa è già finita quando inizia, mi piacerebbe però innamorarmi ancora.
(pag.14-15)

È stato definito un antitriller, per esigenze di marketing io credo. Di certo non lo è, triller. Non solo. È figlio della sperimentazione. Di quel tipo di sperimentazione rischiosa, secondo me, dove molti degli elementi cardine a cui il lettore è abituato si sbriciolano. È necessario abituarsi a un’incedere preciso, a focalizzare l’attenzione anche sulla lingua, oltre alle immagini e i pensieri che scatana. Il rischio è tutto qui, in fondo: in una richiesta di attenzione costante, nel modificare continuamente registro, tono e sapore. Perché non si può leggere tutto allo stesso modo (o no?).
Grugni ci prova. Con coerenza e insistenza pericolosi. Perché superato l’empassé iniziale si rischia l’effetto dipendenza.
’Mondoserpente’ è dunque un buon esempio di romanzo che attraverso la mera lettura insegna (insegna di scrittura, dello scrivero attraverso appunto rotture, miscele e ritmi). Tutti i libri lasciano tracce, molto dipende dal lettore, dall’imperfetta soggettività di chi li avvicina, ci entra dentro poi ne esce (e anche qui è il ‘come’, che fa la differenza, sfuma e plasma briciole da conservare tra tasche delle memorie). Ma in questo romanzo è proprio la lingua, la continua sfida verso punti di rottura quasi tangibili, il tentare sperimentazioni evidenti, impossibili da trascurare (senza perderne rumori, colori e odori necessari).
Allo stesso tempo è anche un ottimo esempio di mediazione costruttiva. Grugni è autore sensibile, ‘pieno’ di molto da dire, lasciare, raccontare. La sua è una ricerca sfociata nelle narrazioni, che rischia di stringere fino a soffocare dentro dinamiche e schemi consolidati.
Ed è qui, secondo me, che sono subentrati i compromessi.
‘Mondoserpente’ si è aggrappato ha elementi intriganti, che ammiccano al lettore, lo incuriosiscono. C’è una Milano ostile, marcia dentro, che spurga melma (e che ho ritrovato, nella crudeltà, quanto nell’inevitabiltà in un’altra autrice contemporanea: Elisabetta Bucciarelli). C’è uno spietato assassino dai contorni sfocati, uno di quelli seriali che uccide con un rito che neanche nel CSI più moderno e tecnologico, pare possibile. Ci sono due protagonisti che gli danno la caccia, per motivi diversi e che vengono svelati lentamente, attraverso un processo che ne favorisce l’immedesimazione nel lettore (sono entrambi figure imperfette, con fragilità e brutture del vivere quotidiano, lontani dall’immaginario dell’ispettore bello e dannato dei vecchi polizieschi).
Poi le miscelazioni fantastiche, il ribaldamento del ruolo classico del ‘giallo’ che deve cercare il colpevole mentre in questo romanzo è più forte, pulsante, l’intento dei due protagonisti di lasciarsi trovare.
Compromessi, come accennavo, che hanno permesso a Grugni di impastare una storia capace di stupire e coinvolgere camminando oltre la sottile linea delle regole, delle aspettative quanto delle catalogazioni. Camminando in territori meno esplorati ma a lui congeniali, dove sentirsi più libero di esprimersi.
Dell’ ‘oggetto-libro’ si può dire ben poco: la copertina realizzata da Bonsaininjia è molto bella, il serpente stilizzato è un simbolo nerissimo per chi lo prende in mano. I caratteri che facilitano la lettura. Nell’insieme decisamente un oggetto piacevole.

Mondoserpente
di Paolo Grugni
Alacran Edizioni, 2006
Isbn: 88-89603-44-5
Pag.248, Euro 14,80

Una bella e significativa immagine su Flickr ispirata dal romanzo: Qui è Milano

No light, but rather darkness visible.

Mas essas chamas lancam, nao luz, mas sim treva visivel

Ma queste fiamme non gettano luce, ma tenebre visibili
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Immagina di uscire da una festa, da un locale, un concerto, un ballo, e di trovarti davanti un uomo in rosso, un accompagnatore. E immagina di trascorrere il viaggio di ritorno a casa con lui, con questo ‘soggetto’ misterioso, che parla di sé con naturalezza, che ti conosce ma non ne sei spaventata anzi. Perché anche tu lo conosci e i suoi discorsi ti incuriosiscono fino a sorprenderti.
Tu che hai un marito, a casa, che non bacerai rientrando dal ballo.
E un figlio che aspetta di nascere, mancano cinque, sei mesi.
Tu, ancora non lo sai, stai per passare un’ora col Diavolo.

E’ più o meno questa la struttura del libro davvero piccolo, sottile, pubblicato da Voland nel 1998 e prima ancora da Edizioni Biblioteca del Vascello (1992). Il testo in realtà è una ricostruzione, e si sente chiaramente negli agganci appena accennati, nelle sottili pareti che lo compongono. Nel 1987 Teresa Rita Lopes recuperò scritti vari ‘sciolti’ dal controverso baule degli inediti di Pessoa, e da lì, da questa sorta di mosaico da parole, è emersa una prosa che è un monologo diabolico, un inno al non essere e al nulla, un’ammissione di non responsabilità, una lunga e accurata risata a quella che è una delle figure più temute, idolatrate e sfruttate. Il Diavolo appunto.

Ma contro la forza del Destino, architetto supremo di tutti i mondi, cosa possono il Dio che creò questo mondo e un piccolo Diavolo di provincia come me, che negandolo lo sostengono?
– Ma com’è possibile sostenere qualcosa, negandola?
– E’la legge della vita, signora. Il corpo vive perché si disintegra senza disintegrarsi troppo. […] L’anima vive perché è perpetuamente tentata, anche se resiste. Tutto vive perché si oppone a qualcosa. Io sono quello a cui tutto si oppone. Ma se io non esistessi, non esisterebbe nulla…
(pag.22-23)

Questo Diavolo di Pessoa, sembra non impaurire, nel modo in cui parla, per quello che esprime con chiarezza e semplicità, per la lucidità con cui si svela con ironia e crudeltà. Eppure lì, tra le frasi e i sensi, si celano profonde crepe, accuse precise e forse anche condanne verso una società che crede, si è imposta di farlo, e che ha costruito figure precise entro cui ricondurre l’universale distinzione tra Bene e Male. Eppure, oggi, a distanza di più d’un secolo, quella società che Pessoa spennella attraverso le labbra del Diavolo, quel costruire architetture di vetro, resiste. La società, le sue regole, i pregiudizi, le catalogazioni sempre più accurate e precise; tutto resta pressoché immutato oggi, nel 2009, e leggendo questo racconto persiste l’amara consapevolezza che il Diavolo è tutto e niente. Esiste o non. Dentro o fuori. Ma ciò che siamo, la c.d. ‘natura’ è forse l’unico elemento immutabile, che si plasma ai tempi ma non si smentisce, non può tradirsi, resta quello che è.

L’uomo non è diverso dall’animale se non per il fatto che sa che non lo è. E’ la prima luce, che non è altro che tenebra visibile. E’ l’inizio, poiché vedere le tenebre significa possederne la luce. E’ la fine, perché vuol dire che si sa, dato che si vede, che si è nati ciechi. Così, l’animale diviene uomo per l’ignoranza che nasce in lui.
(pag.39)

Dunque, chi è questo Diavolo? Cos’è davvero? Esiste? Siamo noi o?
Pessoa lo scrive, lo presenta a modo suo ma con un’acutezza lirica impressionante.

La verità, tuttavia, è che io non esisto – né io né qualsiasi altra cosa. Tutto questo universo e tutti gli altri universi, con i loro diversi Creatori e i loro diversi Satana – più o meno perfetti e addestrati – sono dei vuoti nel vuoto, dei nulla che girano, satelliti, nell’inutile orbita di nessuna cosa.
(pag.51)

Vuoti nel vuoto.
Nulla nell’inutile.
Orbita di nessuna cosa.
E molto altro, colto da un Pessoa crudele a tratti, per lo più osservatore che tende lo sguardo e si libera da paure, dubbi, tradizioni. Ci prova almeno. Il lettore no, per lui nascono qui i dubbi, le paure, ma credo sia questo il senso di un breve scritto all’apparenza bizzarro, nato ‘storto’ forse (volutamente) ma pieno.

Viviamo in questo mondi di simboli, allo stesso tempo chiaro e oscuro – tenebre visibili, per così dire; e ogni simbolo è una verità sostituibile alla verità finché il tempo e le circostante restituiscano quella vera.
(pag.45)

Imperdibile.

L’ora del diavolo di Fernando Pessoa
Voland, 1998
Isbn: 88-86586-34-5
Prefazione di Andrea Ciacchi
Disegno di copertina di Andrea Pochetti.

Scorrevole nel linguaggio, capace di trasmettere i tratti dei personaggi.
Struttura narrativa accattivante, coinvolge, abile uso delle ‘finestre temporali’ e degli intrecci basati sulle tecnologie, le sfide moderne e le contraddizioni.
Imbastitura iniziale ben impostata e gestita senza troppi appesantimenti.

Espiantare è un verbo a cui si associano precise immagini, di solito.
Da un dizionario on line: espianto
[e-spiàn-to]
s.m.
MED Trasporto di un organo o di una sua parte in un terreno artificiale
‖ Prelievo di un organo o di un tessuto in vista del suo trapianto chirurgico

Oggi viviamo in un perenne stato di espianto, espiantiamo e trapiantiamo ormai qualsiasi cosa. Reale e virtuale. Parti umane e sentimenti.
‘Espianti’ trasmette questo senso, racconta una storia complessa eppure attuale, crudelmente attuale. Una storia che parla di un’Italia verosimile, non è la solita americanata per stupire, colpire con effetti speciali in 3d. E’ una storia dove i piani temporali si incastrano, dove i tasselli sfuggono poi tornano. E’ una storia che respira tra le pagine pulsando tra corpi e reti virtuali. E’ una storia che mescola la filosofia al mito, l’attualità e la sua rappresentazione narrativa.
Ma soprattutto. E’ una storia che ci riflette, come società.
Dove anche i sentimenti – appunto – si espiantano assieme agli organi.
E questi sentimenti non sono ‘ciò che ci si aspetta’. Non c’è lieto fine tanto meno ruoli predefiniti. Tutti sono buoni e cattivi, ambigui e trasparenti, semplici e infinitamente complessi. Onesti e delinquenti.
Le tematiche sociali affrontate sono molteplici, a volte si sovrappongono ma è un’esigenza strutturale necessaria, la vita vera lo è, una serie di soprapposizioni.
Il mio interesse specifico (dunque soggettivo) era per lo più legato al mercato nero degli organi che in questo libro trova alcuni spiragli, ci sono riferimenti precisi, c’è l’intento di non celare, di non cammuffare o abbellire o travestire. Quello che è, c’è. Ciò che serve alla storia, ai suoi sviluppi, trova il giusto spazio.

Alcune di queste informazioni erano arrivate sulle scrivanie di un apio di giornalisti indipendenti che dovevano godere di un certo potere nei loro paesi, e ne sono uscite due inchieste sul ‘De Telegrafa’ e sullo ‘Spiegel’. Queste, come al solito, hanno disseminato un pò di allarmismo e smosso l’opinione pubblica per forse un paio di settimane, poi sono state debitamente insabbiate anche lì. Il traffico di corpi e la vendita di organi umani è uno degli argomenti tabù dei nostri tempi. Parlarne o indagare è praticamente impossibile. Ne sono coinvolte tutte le criminalità organizzate del pianeta, che per operare in tranquillità hanno connessioni con il potere, con le istituzioni. E’ questo intrico tra legalità e illegalità, che ormai è diventato indissolubile, specialmente nel nostro paese, a complicare le cose.
(pag. 182)

Ci sono poi molte sottili puntualizzazioni, sul mondo che oggi i giovani si trovano ad affrontare. Sulle frustrazioni, il precariato, l’inutilità sputata da un sistema che guarda i giovani con disprezzo, che non riconosce le competenze tanto meno la voglia di fare.
Poi la realtà virtuale come ‘altra vita’, come fuga ma anche alternativa. Il creare un qualcosa che aiuta a sopportare il resto della giornata, una sorta di routine silenziosa invisibile ai più eppure importante, capace di suscitare emozioni.
E i sentimenti che si mescolano, dominati dalla disillusione, l’avvicinarsi agli altri non abbassando mai la ‘guardia’ eccetto alcune rare ‘finestre spazio temparali’. Infine il sano e mai sopito entusiasmo, il credere sempre e ancora di poter cambiare ‘le cose’, di poter fare la differenza, che poi si schianta contro il mondo che fagocita e – appunto – espianta.
Un esordio che merita attenzione.

Espianti
di G.Catozzella
Transeuropa, 2008

… ma io di cosa sono davvero responsabile? Il senso di allegria conviviale che spinge alcune persone, come quelle che lavorano in MSF, a lasciare tutto e partire verso luoghi lontani, con la speranza e spesso la determinazione necessaria a migliorare quello che si può migliorare, questa allegria conviviale si appoggia, in realtà, su di una dimensione più seria e più complessa, ovvero la convinzinoe che io sono responsabile delle cose che accadono fuori dal mio stretto raggio d’azione…
(pag.141- estratto da ‘Medici di se stessi’ di Antonio Pascale’)

Mondi dentro un limite davvero fuori dalla realtà che conosciamo (in un’Italia in crisi certo, contraddittoria, eppure), nove scrittori che raccontano storie o semplicemente riportano quello che gli occhi hanno visto. Ma non è per gli scrittori, stavolta direi proprio di no. Ognuno a modo suo ‘riporta’ una realtà precisa. Baricco, Benni, Carofiglio, Covacich, Dazieri, Di Natale, Giordano, Pascale, Starnone, disegni di Giannelli, prefazione di Konstantinos Moschochoritis (Direttore Generale MSF Italia).

E tante, davvero tante piaghe.
Non credo che sull’integrità e l’impegno concreto dell’organizzazione in oggetto ci siano dubbi o pendenze, mi resta addosso molto disagio, vergogna, e rabbia. Tantissima rabbia.

>> Medici  senza frontiere

>> Il progetto che ha portato al libro.

Mondi al limite
Nove scrittore per medici senza frontiere
Feltrinelli – serie bianca
Isbn: 978-88-07-17159-8
Euro 14 pag.183

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“Per quanto riguarda i nuovi farmaci, il monopolio legato al brevetto ritarda l’introduzione di farmaci generici e mantiene alti i prezzi. Per le malattie dimenticate e presenti prevalentemente nei paesi poveri, la mancanza di incentivi finanziari per la Ricerca e Sviluppo porta alla mancanza di farmaci adeguati per combattere queste malattie nei paesi dove sono endemiche. (Pag.37 – precisazione ‘Accesso ai farmaci’ che segue il testo ‘C’era una volta l’Aids’ di Stefano Benni.)

Ok, qui gli elementi tutto sommato sembrano semplici.
Lei, la protagonista, le sue contraddizioni, il femminismo esasperato rifiutato oltre ogni limite culturale-sanitario-etico-logico, il corpo e il piacere.
Credo sia impossibile non avere in assolutò tabù.
Credo ci sarà sempre qualcosa di ‘taciuto’, capace di stupire, disgustare, imbarazzare, stuzzicare.
E credo che colpire proprio lì, nella linea di confine, più o meno condivisa, sarà sempre ‘interessante’ quanto meno da un punto di vista commerciale (sempre e comunque se c’è di mezzo il corpo, il sesso in ogni sua forma o dimensione, l’erotismo, la ricerca del piacere).
Resta da capire quanto davvero resta di scritture di questo tipo. Al di là del confronto con quanto la protagonista-narratrice spiega, al di là del condividere o meno l’idea che ha del viversi e dell’essere nel mondo.
Sui giovani, soprattutto Le Giovani teen, mi sembra che negli ultimi cinque-dieci anni si sia scritto e detto e discusso molto. Quasi a volerle infilare in luccicanti campane di vetro, analizzandole come ‘esseri da laboratorio’ che aspettano di essere sezionati.
Estreme, disinibite, bullette, sfacciate, sessualmente aperte e disponibili ma anche profondamente vuote, appoggiate a falsi miti, ossessionate dal peso, l’apparire e il denaro come talismani del potere. Certamente fragili ma anche ciniche, disposte a vendersi, giocare coi coetanei e non solo, abili nel manovrare quanto capaci di schiantarsi per una battuta di troppo.
In questo libro ci si spinge un gradino oltre (oltre che non necessariamente significa avanti o indietro, forse è altrove): la teen in questione si tocca in continuazione, ha fantasiose abitudini per masturbarsi, rassicurarsi sessualmente e trovare piacere individuale. Ma non basta: rifiuta ogni regola legata al corpo. E’ morbosamente attaccata a ogni sua parte, specialmente quelle intime che cura a modo suo, si assaggia, si coccola, si stuzzica e si guarda. Allora viene da chiedersi, leggendo, cosa vuol dire davvero ‘disgustarsi’, cos’è in concreto che disgusta o cosa invece ci è rimasto sulle spalle da precedenti educazioni, dalle generazioni che prima di noi hanno combattuto le stesse nostre battaglie e le hanno diciamo ‘risolte’ in un qualche modo che ancora cerchiamo di capire. Il nostro corpo, il rapporto tra noi e quei punti che danno piacere, ma posso diventare fonte di imbarazzo, quelle piccole azioni ritenute ‘maleducate’ o peggio, derivanti da comportamenti ‘deviati’ al limite del patologico. Tutto questo è soggettivo entro un certo limite, io credo. E Charlotte Roche lo sa bene e spinge, spinge, spinge, la barricata in attesa di cogliere i segnali, di vedere le facce che si contraggono, sbiancano, scappano. (E facendolo sa di colpire anche il grande mercato che si nutre di provocazioni, in un tempo che sembra averle esaurite, che perfino sessualmente si è già esposto molto, qualcuno direbbe troppo).
L’espediente del ricordo che si aggancia a una frase, una situazione o uno qualunque degli elementi che vede o pensa la protagonista (un dettaglio come le ciglia ma anche un colore, un pensiero su qualcosa di visto), l’espediente dunque tende a diventare troppo pressante, stanca alla lunga, anche perché è spesso prevedibile, innesca la dinamica da ‘inseguimento del frammento che si incastra in un altro e via così’. Ma forse non è stilisticamente che si dovrebbe cercare, in questo libro, non è nelle scelte linguistiche quanto nei messaggi lasciati, negli (in)volontari input che lo hanno fatto percepire (o volutamente etichettare) come il ‘libro scandalo’ del momento (o dell’anno? del decennio? del nuovo secolo?) e addirittura il ‘nuovo’ manifesto del neo-femminismo (dunque le donne hanno sempre e solo il corpo per tentare di cambiare le ‘cose’, interessante punto di vista – interessante specialmente se fosse possibile capire chi lo ha ‘innescato’, se è ciò che vogliono le donne davvero o se semplicemente è quello che si cerca di far credere loro, che solo col corpo possono, da cui il manifesto nel moento in cui si abbattono vecchi tabù come la masturbazione femminile o il senso dell’igiene…)
In tutta onestà, che la protagonista si fotografi letteralmente ‘il buco del culo’ appena operato, o si faccia depilare da uno sconosiuto per poi procurarsi da sola un’orgasmo con l’impugnatura del rasorio; di tutto questo e molto altro non mi interessa proprio nulla. Ma mi incuriosisce la dinamica che invece porta altri, molti altri, a trovarlo interessante, folgorante, rivoluzionante addirittura. Quelli del partito opposto, che si sono disgustati, rivoltati, incazzati, schifati, e viadicendo; loro in un certo senso mi sembrano coerenti coi vecchi modelli, vicini a un preciso senso del pudore, del rispetto di sè e di un’intimità che pur restando soggettiva nel momento in cui diventa pubblica, nel momento in cui la si palesa perde un’essenza individuale, diventa strumento, oltre che oggetto di studio, valuzione generale, immedesimazione forse, quanto meno paragone. Voglio dire: io di e con me posso anche fare quello che mi va, fregarmente di tutti e tutto, annusarmi, tagliarmi, leccarmi, e tutto il resto che ne consegue e mi va (sottolineato). Posso si. Ma scriverlo, divulgarlo, proporlo attraverso le parole di una teen ha, secondo me, tutt’altro ‘sapore’ per restare in tema. Si torna alle logiche di cui sopra, si torna al mondo degli adolescenti, alle sperimentazioni delle nuove generazioni che continuano a cercarsi e che, a quanto pare, per farlo abbattono qualunque barriera e quelle sul corpo, il sesso, la sessualità e il piacere, quelle barriere sono certamente le più invitanti, quelle che più hanno crucciato le ‘vecchie’ generazioni, che più sono state gelosamente custodite, difese forse da taluni fino al crollo che già la mia di generazione (che peraltro è la stessa dell’autrice) ha visto distintamente. Fino ad oggi.
Abbattiamo la qualunque cosa ormai.
Giusto? Sbagliato? Necessario? Transitorio? Co o di struttivo?
Non ne ho idea.
Si dice che ogni distruzione porta in sé un rinnovamento, una RI-costruzione.
Intanto continuiamo ad abbattere mi pare, poi quel che verrà forse lo scopriranno quelli che oggi sono appena bambini o che ancora devono nascere.
Abbattiamo e non ci fermiamo.
Io guardo indietro, adesso, vedo (anzi, immagino) Helen che si annusa lo smegma poi se lo infila in bocca per assaporarlo come un sommelier panciuto e calvo; focalizzo la scena e mi domando: de-molizione completata, game over?

” Quando sono sul water, subito prima di fare la pipì, mi infilo sempre un dito nella fica e faccio il mio test. Ravano un pò, tiro fuori tutto il muco che riesco a trovare e lo annuso.
In genere ha un buon odore, a meno che non abbia appena mangiato indiano o qualche pietanza particolarmente agliosa.
La consistenza invece varia notevolmente: a volte fa pensare a un formaggio fresco, altre all’olio d’oliva, in base a quanto mi lavo. E quanto mi lavo dipende, a sua volta, dalla persona con cui ho intenzione di fare sesso. Sono in molti ad amare il formaggio fresco. Può sembrare strano. Ma è così. Io mi informo sempre in anticipo.
Dopo aver annusato a fondo, infilo il dito in bocca e succhio da buona intenditrice. Di solito il sapore è ottimo. “
(pag.49)

Dopo la lettura si attendono spunti, commenti, annotazioni, espressioni, reazioni. A questo punto – forse – ci restano le reazioni per andare avanti.

Zone umide
di Charlotte Roche
Rizzoli collana 24/7

Isbn: 978-88-17-02582-9

………………

Meravigliosi i ‘wikipediani’:

http://it.wikipedia.org/wiki/Zone_umide