Mi presento…

6 gennaio 2008

Mi chiamo Michele (Loiacono di cognome ma non lo uso mai, semmai lo tirerò fuori per il necrologio).

La mia passione sono i bambini, le patologie, le fasi evolutive, lo studio dei fattori ambientali, dell’emotività e dei potenziali.
Calmi, non è come pensate. Faccio il pediatra. Mi piace occuparmi dei piccoli, analizzarli, capirli, aiutarli, tutto qui. Ciò che accade nei primi anni di crescita rimane indelebile nella mente e nel cuore dell’individuo per tutta la vita. E mi fa stare bene sapere di aver contribuito, in un qualche modo a questa crescita difficoltosa (magari con una benda, uno sciroppo o una lastra).
Non credo però che diventerò mai padre. Ho trentotto anni e vivo solo. Non è tanto per il fattore ‘donne’, tutt’altro. Sono io che non credo di volerlo fare, il padre.

Gli adulti sono i responsabili delle cicatrici più profonde, piene di pus e grinze che i bambini si portano dietro per sempre (da piccoli ma soprattutto quando ormai sono indipendenti). Ogni gesto, urlo, comportamento, frase, tutto insomma, viene registrato dalle testoline laboriose e non si può mai sapere come andrà a finire.Intanto cerco di curarli.

Sono un tipo preciso, puntiglioso, detesto sbagliare, per questo non lascio mai niente di intentato. Studio sempre, ordino nuovi libri on line ogni mese e mi consulto coi colleghi dell’università. Siamo una bella squadra, tutto considerato, non ci vediamo mai ma abbiamo risolto molti casi clinici unendo le forze.

Non mi piace la routine, anzi no, la detesto. Non ho mai avuto orari precisi tranne all’ambulatorio. Per il resto vivo come mi va, rispetto gli altri ma me ne frego dei giudizi, le imposizioni sociali e le mode. Se mi alzo presto la mattina corro mezz’ora, mi rilassa.
Da ragazzino ero un discreto nuotatore, mia madre mi portava tre volte a settimana, non potevo lamentarmi. I miei gestivano un negozio di alimentari in centro a Bologna, una tipica drogheria d’altri tempi dopo il latte guardava le fatte biscottate che dividevano il ripiano con i grissini; accanto al frigorifero, invece, si nascondevano i detersivi più comuni.
Era un bel posto. Ci passavo interi pomeriggi. Fingevo di fare i compiti, in realtà seguivo la gente per strada, ascoltavo le clienti. Mio padre si arrabbiava spesso con me, diceva che non era normale fissare così le persone, notare i dettagli, ricordare particolari e azzeccare caratteri. Non era normale per un uomo, sia chiaro. Alla fine ha smesso di farsi venire la gastrite.
Io sono così, non c’è niente da fare. Se non seguo quello che mi succede intorno mi annoio.

Vorrei trasferirmi a Monteselva. Mi piace il posto, sembra tranquillo. Sono fuggito da Bologna cinque anni fa perché non sopportavo più il grigio, lo smog, le multe e la gente. Ce n’è troppa, ovunque e si finisce per litigare per niente. Ho bisogno dei miei spazi, di non dovermi preoccupare se carico la lavatrice alle tre di notte (anche perché, se non l’ho fatto prima, vuol dire che non mi sono accordo di avere tutti i calzini sporchi) né di farmi venire il nervoso se quando chiudo l’ambulatorio rischio di arrivare a casa dopo un’ora anche se, in linea d’aria, ho mezzo chilometro da percorrere.

Oltre tutto ho sentito dire che a Monteselva c’è carenza di pediatri, dunque sarebbe perfetto.

Sono un uomo fedele, quando mi innamoro. Il problema è arrivarci a quel click in più. Le donne mi incuriosiscono ma non devono soffocarmi né tentare di manipolarmi con ciglia finte o moine. Con anni di esperienza riconosco la puzza di una stronza anche se è ancora dietro l’angolo. Apprezzo la tenacia, lo riconosco, e l’intraprendenza. Quelle timidine e insipide, o peggio, omologate all’ultima collezione di Dolce e Gabbana mi fanno ridere e basta. Se poi non ti vuoi sporcare le mani ti conviene starmi alla larga.

Quando stavo ancora con i miei lavoravo in giardino nei fine settimana (non abitavamo in centro bensì in un paesello di provincia). E’un’abitudine che mi manca, in effetti. Piantavo bulbi e concimavo. Anche far nascere e crescere una pianta è un impegno, dopo tutto. Richiede cura, attenzione e responsabilità. Non ci si può dimenticare o i fiori non sbocciano (sempre che la pianta in questione sia ancora viva). Un po’ come con i bambini, in scala inferiore naturalmente.

Spero di trovare un posticino piccolo, mi basta un angolo cottura con camera da letto e uno stanzino da usare come studio (l’ho già detto, vero, che ho tanti libri e ne compro in continuazione?). Poi se ci fosse un piccolo giardino sarebbe perfetto.

Dimenticavo (ma dove ho la testa oggi?). Mi serve anche un locale per l’ambulatorio. Due stanze sono più che sufficienti (per la sala d’attesa e le visite) anche se sarebbe meglio poter attrezzare un bagno per le emergenze.
Per il resto faccio tutto da solo, non voglio assistenti o segretarie. Ho il mio sistema di archivio dati (George, il fedele portatile lo sa eccome) e so gestire le questioni burocratiche e gli impegni senza andare nel pallone (basta un’agenda elettronica mica una seconda laurea in ingegneria aerospaziale, no? Mentre per le faccende puramente contabili mi cercherò un commercialista).

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C’è un comune, Monteselva.
Ci sono degli abitanti (in crescita).
E ci sono loro. I personaggi e le storie.
Dall’estro e il talento di Patrizio Pacioni un blog che trasforma un suo celebre personaggio, il commissario Cardona, in una comunità a tutti gli effetti. Con tanto di location virtuali, personaggi, eventi, tutto quello che succede in una qualsiasi cittadina italiana.
Michele Loiacono è il mio personaggio.
Info sul progetto QUI.