Il primo elemento che mi ha colpito è stato la ‘forza del risucchio’. Tendo a essere una lettrice decisamente imperfetta e – ultimamente – anche molto frammentaria nel senso che doso il tempo, le risorse e, più in generale, gli spazi da dedicare a una storia. In quest’ottica l’approccio iniziale è, per me, determinante. Ho notato che se un romanzo inizia piano, lentamente, o semplicemente fatico a ‘entrarci’, se incontro troppe difficoltà iniziali insomma (diciamo entro le prime cinquanta pagine) allora è un gioco alla resistenza. Rallento la lettura, mi impongo di, ma resta il fatto che non ho più l’urgenza tra le ciglia.
Con ‘Il pianto delle falene’ mi è capitato l’esatto contrario. L’ho Iniziato in una mattina già afosa alle nove, mentre mio figlio giocava al parco e l’ho finito a notte fonda (dello stesso giorno). Sannino ha questa capacità di acciuffare il lettore e catapultarlo nella ‘nuova realtà’ con poche, sapenti, pennellate. E’ quasi fin troppo facile. Vedi alcuni scorci di luoghi, senti i primi discorsi dei personaggi, li segui e già non hai scampo. E mi piace molto, quest’approccio perché è l’esatta carica che mi aspetto da uno scritto (poco importa il genere, l’autore o altro).
Scelgo un fiocco che mi chiama tra gli altri, lo seguo fin dove riesco, è volubile, incostante. Quando penso di averlo trovato stringo gli occhi e lo attiro verso la mia direzione. Si divincola, si affanna. Si difende con l’inconsistenza che gli è propria. Non lo sa che lo aspetto e se lo sa, finge.
(pag.11)
Superato l’approccio, lo stordimento iniziale, ecco che ho colto meglio l’originalità di questo romanzo: un uomo che scrive in prima persona usando una voce femminile.
Innanzi tutto scrivere un intera storia in prima persona è complicato. E rischioso. Il punto di vista si orienta, per forza, sulla voce principale, si rischia di dare al lettore una visione troppo parziale e, per questo, limitata e limitante. Oltre al fatto che sostenere per oltre duecento pagine un’unica voce dominante non è semplice.
Ma c’è di più.
Sannino ha costruito la figura di questa protagonista che è una donna, over trenta, che lavora in un bar, vive da sola e ha una relazione instabile. Si è trasferita in periferia per lasciarsi alle spalle facce familiari e un passato che, comunque, la tormenta e non è di certo rimasto sufficientemente lontano da farla stare tranquilla. Eppure si è ‘modellata’ una vita dove tenta di restare in equilibrio. Lavoro. Casa. Amici (pochi ma buoni, come dicevano le nonne). E Amore (altalenante, ma quale non lo è?).

Ho bisogno di mantenere il controllo dei miei giorni. Per questo mi trasferii qui, in questo paesino di provincia, lontana dal caos e dai miei precedenti affetti.
(pag.113)

Una storia moderna, inquietudini di questo secolo di certo, di una società che non ha tempo per niente, dove non è permessa l’imperfezione, non si accettano ‘i diversi’ sotto ogni possibile angolazione, dove le tappe ‘socialmente obbligate’ sono religioni inviolabili.
E c’è una gran forza in questo tratteggio, c’ è sudore e fatica. Consapevolezza mista a qualcos’altro che il lettore aspetta di capire, segue e sa che, prima o poi, si svelerà.
Tutto questo, narrato in prima persona. Sannino scrive, parla, spiega, urla, riflette. Tutto dentro i panni della protagonista. Di una donna. E, devo dire, lo fa bene. Non so quanti, leggendo alcune pagine a caso, senza sapere il nome dell’autore, saprebbero riconoscerne il sesso. Non tanti credo. La struttura narrativa è convincente, credibile nella storia quanto nei tratteggi. La voce è forte e coerente nelle sue sottili ma evidenti contraddizioni. Appena alcune sbavature, pensieri che io – da donna – ho trovato poco vicini alla mia sensibilità anche se, il tipo di donna che è Katia ha nette differenza con me e di certo, queste diversità – a tratti – me l’hanno fatta sentire più lontana del necessario.
Ma più di tutto, l’immagine di una donna che ancora si cerca, che ha paura e non vorrebbe averne, con tutta se stessa. Che lotta ogni giorno per costruirsi una routine che, in realtà, tende a sfuggirle troppo facilmente. Che si affida a sentimenti che sono altalene scricchiolanti, cercando un tipo di amore che sembra non esistere, non tra gli uomini che la circondano quanto meno.

[…] la sensazione di un equilibrio di cristallo, continuamente in procinto di infrangersi. E lui non si curava di ciò che avrei voluto essere.
Cosa?
(pag.46)
C’è molta carica sessuale nel corso della narrazione, mentre gli eventi evolvono, gli sguardi si intensificano e certi gesti diventano sottintesi. E questa energia, fisica, quasi animalesca ne alimenta il ritmo, permette al lettore di non dimenticare il tipo di consapevolezza dei personaggi, il peso degli odori.
Sannino è un autore sensibile e attento. Studia. Annusa. Analizza. Allo stesso tempo è animato da un pizzico di sana incoscienza, la stessa che lo ha fatto entrare nei vestiti di una donna, nelle sue corde vocali, nei tacchi.
Descrive molto, con un aggettivazione precisa e sensoriale che permette al lettore di focalizzare gli ambienti, le atmosfere in poche righe.
C’era quell’odore nell’aria, di petali e di pesche. E una luce ancora accesa dal blu cobalto del cielo.
(p.118)

Questo, forse, è uno dei pregi che più portano a galla alcune sbavature. Tanto quanto lo stile tende ad essere asciutto, preciso ma ricco, quanto la lunghezza lo appesantisce, eccede in alcuni punti chiave dove il ritmo rallenta troppo, dove si avverte che, la volontà di scavare meglio e respirare con calma si è trasformata in un’inchiodata brusca.
Altra piccola spigolatura, che per come l’ho letto e percepito io, ha in alcuni casi tolto il pieno del sapore: l’anticipazione.
Per quella che è la mia esperienza, quanto una storia può essere prevista dal lettore, allora è opportuno riflettere, e magari invertire il fenomeno. Ma se, il lettore stesso, riesce addirittura ad anticipare un’azione o un personaggio con ragionevole certezza, allora, forse, qualcosa (di micro quanto macro) non va. Premesso questo, considerando che oggi non si inventa né si scopre più nulla, è evidente che i personaggi, i ruoli, gli incastri e le trame si rincorrono. Eppure quel guizzo in più, quel modo, quei tratti; sono loro, secondo me, che possono fare la differenza. Ne ‘Il pianto delle falene’ in alcune pagine sporadiche ho anticipato, leggendo. E credo anche che sarebbe bastato poco per evitarlo senza sconvolgere gli eventi o i personaggi. Ma, come specifico sempre, sono solo le mie percezioni, soggettive e assolutamente non qualificate.
La protagonista è una donna complicata (e, fin qui, verrebbe da aggiungere che non c’è davvero niente di nuovo) ma è anche in perenne ricerca, fa l’equilibrista tra persone e azioni. Poi cambia idea. Cerca qualcuno a cui appoggiarsi, ne ha un bisogno disperato, eppure lo stesso resta incerta, sa ma non è sicura, vuole e rifiuta.
Ci sono, poi, alcune figure maschili, in questo romanzo, che si riveleranno essere ‘chiavi di decodificazione’. Uomini, a modo loro, presi da se stessi ma ricettivi. Che la vogliono eppure tendono a ritrarsi. Lo spazio, in questa storia, quello imposto quanto quello cercato per sé, è un elemento dominante a mio avviso. Tanto quanto le verità celate, i legami spezzati e quei segreti che logorano eppure finiscono rinchiusi nel ‘famoso armadio’. Sannino dosa sapientemente i gesti, sa dove colpire per cattura quanto per stordire e non si risparmia. Mostra solo quello che vuole e cerca il momento successivo per.
Nel titolo c’è, evidentemente, il simbolismo più forte.
Le falene appartengono, come le farfalle, all’ordine dei Lepidotteri. Ma non sono farfalle. Hanno abitudini notturne, recita Wikipedia, e possono avere le antenne di forme diverse.
Quest’immagine, di un gruppo di falene che volano in alto, insieme, e piangono ma di un pianto bambino, insistente quanto inconsolabile; quest’immagine è decisamente una proiezione diretta di una parte della protagonista. Forse del suo lato più interiore, meno propenso ai compromessi, alle scelte di comodo. Le falene volano e piangono a fasi alterne, tornano per ricordare alla protagonista che il pianto ancora non è cessato e che è ora di aprire le finestre e lasciarle andare. Per quanto difficile sia. In quest’immagine, forse, c’è l’essenza di un vivere che è di una fragilità sconvolgente proprio perché è ‘quel’ tipo di atteggiamento che, di solito, rifiutiamo, ignoriamo o tentiamo di camuffare.
Ho terminato la lettura come ‘in sospensione’. Perché è così che succede quanto una storia è amara al punto giusto, e fa sentire tutto il suo sapore legnoso, sgradevole. Che non è affatto un difetto. La vita reale non è un eterno sciogliere dolcificanti. Per questo apprezzo molto le storie che non tentano di accecarci del tutto. Quelle che restano fedeli a se stesse, non accettano compromessi e ci lasciano lì, a fissare la pagina pensando ‘ma allora…’.

Lessi l’anno scorso, il suo primo romanzo, ‘Assolo’ edito da Il Foglio, ho recuperato alcuni brevi appunti, scritti d’istinto: “E’un testo introspettivo, scavante. Dove la solitudine è così prepotente da schiaffeggiarti a un certo punto. Ci sono flash back che parlano di adolescenza come penso molti l’abbiano vissuta. In un mondo che già a diciassette-diciotto anni è feroce, competitivo. Tutto è classifica. E se non stai al passo sei stritolato dall’ingranaggio. (certe righe mi hanno riportato indietro nel tempo e non mi è piaciuto per niente, confesso)
Poi ci sono le tematiche interiori. L’analisi di un se stesso visto dall’interno. Debolezze. Paure. Esplosioni. Amori fugaci. Sussurrati. Nascosti. Incompresi. Abbandonati.
C’è l’attesa. Che serpeggia per tutto il tempo. Tiepida compagna di lettura. Che ti ricorda che arriverà. Sta per arrivare. Dovrebbe essere già qui. Si. L’attesa. Che si svela solo nelle ultime pagine. L’attesa. Che, in fondo, è anche la nostra. Di chi legge.”

E devo dire, oggi, che la ‘voce’ di Sannino non mi sembra cambiata nelle sue radici profonde, affinata certo, più padrona e potente, direi. Il passaggio più grosso è stato, senz’altro, nella trama. Nel gestire molti personaggi, nel tratteggiarli, renderli vivi e pulsanti. Nel riuscire a costruire un micro mondo fatto di luoghi, atmosfere, persone e legami che mutano, si svelano e cercano sempre qualcosa che ancora deve accadere. E, di certo, nell’entrare dei panni dell’altro sesso.

Alcune veloci annotazioni sulla casa editrice: le Edizioni Smasher nascono nel novembre 2007 mantenendo il gruppo editoriale dell’Associazione Smasher, risalente al 2004. Sono giovani, il sito è ancora in costruzione. Eppure sono celeri e cortesi. Ho ricevuto il libro in pochi giorni e, come oggetto, non sfigura accanto ad altre pubblicazioni. Mi sembra ci sia molta cura, per la veste quanto la possibilità di creare un contatto col lettore, per quanto si possa in un mercato dove la distribuzione è, di fatto, in mano alle pochissime grandi case editrici. Altra annotazione, diciamo di servizio: il prezzo adeguato, Euro 10 (decisamente ‘onesto’ mi permetto di aggiungere) rispetto alle 270 pagine complessive. E la foto in copertina, di Annarita Migliaccio, davvero calzante. Suggestiva.

Lascio uno stralcio del passo dove, a margine, sulla mia copia ho scritto ‘meraviglioso’:

Quando penso di parlare di me a qualcuno, ho sempre la sensazione di trovarmi un passo indietro e di parlare una lingua sconosciuta. Incomprensibile perché solo mia. Ho la certezza di non poter essere compresa, perché quello che ho risulta inverosimile perfino a me stessa.
(pag.78)


Barbara Gozzi, Luglio 2008.
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE

Sannino Giorgio (1968) vive e lavora a Bergamo. Laureato in economia e commercio, musicista pentito, avido lettore, scrive contratti per campare. Ha pubblicato vari racconti. Nel 2004 un romanzo, Assolo, per le Edizioni Il Foglio. ‘Il pianto delle falene’ è il suo secondo romanzo.

‘Il pianto delle falene’ di Giorgio Sannino, Edizioni Smasher, aprile 2008. Prefazione di Anna Lamberti-Bocconi. Pagg.270, Euro 10.
Il blog di Giorgio Sannino, dove si recuperano molti suoi scritti.