Io la sento

2 settembre 2009

di Barbara Gozzi
Ci correvo a piedi nudi.
Luglio e agosto giocavo nel cortile cementato. E il caldo risaliva oltre la pianta dei piedi, bruciava la pelle. Eppure era piacevole.
Di primo pomeriggio il nonno fingeva di seguirmi con il tubo, per bagnarmi un pò.
Il tubo era un serpente verde fosforescente che si usava per annaffiare il piccolo orto interno, accanto al bassocomodo che era un edificio a parte dove spesso nonna cucinava. Aveva due stanze enormi, il bassocomodo. Quella vicino all’orto era per le biciclette ma negli anni si era anche riempita degli attrezzi del nonno e di ogni altra cianfrusaglia possibile. Perfino i miei giochi di bambina. Vecchie bambole senza occhi, veicoli motorizzati con una ruota rimasta, scatole impolverate piene di giochi di società risalenti a chissà quale generazione. Stavano tutti dentro, al buio, e quando si aprivano i portoni che assomigliavano a quelli marroni enormi dei garage, quando la luce entrava, si finiva investiti  da un odore di muffa dolce, quasi caramellata.
Il cemento spesso era bollente.
E io me ne stavo dove prima l’ombra si allungava, prima anche cinque, dieci minuti al massimo. Non faceva differenza. Di pomeriggio il sole si muoveva svelto nel cortile interno mentre in faccia alla strada gli edifici ammassati lo coprivano comunque.
Davanti casa non si poteva fare granché. Magari restavo seduta sui gradini, in faccia al cancello, a leggere o colorare. Ogni tanto ascoltavo musica, ma ero già più grande e lunga quando lo facevo e di sicuro non camminavo scalza.
La rassicurante ruvidità di quel cemento, di quelle estati lontane da casa con l’odore nauseante dello zuccherificio tra le narici, e le notti sulle canne di biciclette improbabili tra i bambini e i ragazzi del quartiere, in una via della periferia ferrarese che era come il serpente verde fosforescente (si allungava poi ritraeva più ci camminavi, più la attraversavi); tutto questo mi è rimasto.
E’ ancora lì, dove deve essere.
Perfino tra la pioggia insistente di un aprile uggioso, umido dentro che a distanza di quasi sette anni pare un altro habitat, un altro clima.
Perfino passandoci davanti in macchina, di fretta, con le mani che tremano leggermente strette al volante, il cuore in piena attività irregolare e la casa davanti, pochi secondi appena, trasformata dal tempo e le esigenze dei nuovi proprietari.
Ma il cemento è sempre lo stesso.
La mia pelle bambina callosa e rovinata dalle corse, ancora ci striscia sopra.
Io la sento.