Matti, voci e storie di oggi – il progetto parte IV

30 novembre 2009

matti4Parte I, II e II dell’ipertesto QUI.

Diverso rispetto a Ferrarese, è l’approccio di Barbara Garlaschelli che con FramMenti (storie di un fortino di periferia), Mobydick, 2006, realizza un saggio prezioso, contenitore di voci, logiche e di quel sentire lontano ma vicino. L’operazione della Garlaschelli parte proprio dalla realtà, quella del CPS (Centro Psico Sociale) di via Ugo Betti a Milano che ha visitato, frequentato ascoltando così i racconti framMentati delle persone, i malati, ma anche gli operatori che ogni giorno affrontano l’ignoto, tentato di alleviare sofferenze, pene e paure.
Barbara Garlaschelli è donna sensibile, attenta e piena di attenzioni. Sceglie di scrivere di questo fortino di periferia senza aggiungere virgole o punti. E’ un saggio, certo, ma con la volontà onesta e puntuale di dare e lasciare spazio alle voci vere, di persone fatte di carne incontrate, vissute, ascoltate. Ed è una scelta coraggiosa perché eliminando l’elemento ‘fiction’ il rischio grosso è proprio la perdita di quell’interesse legato alla ‘finzione’. Come accennavo all’inizio di questo viaggio-ipertesto imperfetto, i matti, le malattie mentali sembrano attirare attenzioni volatili e curiosità gommose, se li si può considerare non-reali, relegati dentro storie narrate dove si sa – deve esserci – la fantasia, la costruzione tessuta dall’autore. L’importante è mantenere una certa ‘lontananza’ con il reale del lettore che probabilmente fa un lungo sospiro liberatorio. Ma Barbara Garlaschelli ha le idee chiare, oltre l’eventuale commerciabilità di un testo come questo:

[…]… far capire alla gente ‘fuori’, quella considerata ‘normale’, che non c’è un recinto oltre al quale vivono le persone che hanno una sofferenza mentale. […] Non esistono i ‘normali’ e i ‘folli’. Esistono le persone, con le loro storie, le loro esperienze, le loro ‘voci’, i sogni, i dolori, le speranze (pag.7 – FramMenti).

L’approccio, il come, qui è fondamentale per capire un testo all’apparenza semplice, che scivola nella lingua ma ferisce, resta incastrato dentro. Storie diverse, raccontate dall’autrice con il minor numero possibile di filtri, resoconti di incontri, riporti di elaborati degli stessi ‘matti’, annotazioni di umori, percezioni sottili eppure patine unte che l’autrice si è portata oltre i muri, oltre stanze e volti.

Le parole, il linguaggio, possono diventare ponte o muro, essere comunicazione o ostacolo. Le parole possono trasformarsi in un cilindro magico da cui escono emozioni, sensazioni, immagini. Sempre, sempre contengono molto più di quanto non siamo disposti a capire, ascoltare, accettare. […] Frequentando questo luogo ho scoperto che le parole sono anche altro. Sono spesso il non detto, quella forza incontenibile che spinge le donne e gli uomini verso altre donne e altri uomini, o che li allontana.
(pag. 9 – FramMenti)

La voce dell’autrice è una guida, una sorta di accompagnatore, folletto e fatina per il lettore che rischia di perdersi facilmente tra le tante parole, sensi a tratti sconnessi, illogici (ma poi, per chi?) e ragionamenti anche lucidi e puntuali di persone che, nonostante tutto, si cercano, scavano fin dove possono, fin dove mente e corpo possono arrivare senza spezzarsi del tutto.

Il ‘cubo di cartone’, il CPS, è un contenitore che racchiude misteri, incubi, visioni, eccessi, orrori e piccole gioie quasi-perdute.

Molto sono le sotto-tematiche che emergono da questo saggio. L’anaffettività diffusa, causa ed effetto di dolore fortissimo, ferite incitrazzabili, malformazioni interiori. La malattia che non si vede, se non osservando con attenzione movimenti, gesti, sguardi e parole, quel senso di sanità apparente e di malattia-colpa sotto, dentro, oltre i vestiti e le immagini riflesse da specchi sociali.

Se la malattia non è riconosciuta dal mondo, il mondo ti lascia fuori. La realtà è che siamo tutti ‘fuori’, sia chi i segni li porta sulla pelle che quelli che li portano nell’anima.
(pag.139 – FramMenti)

Poi l’essere sempre e comunque vivi, pulsanti, capaci – ancora ( ancora è una parole che ricorre, come uno stupore perenne, come se non fosse ragionevole, logico, che certe dinamiche, percezioni, emozioni restassero, si manifestassero) – capaci dunque, ancora, di fare, registrare gesti e sensi, strati di sensi ma su livelli non sempre coincidenti, differenti senza che questo implichi un ‘male’ preciso. E la solitudine. Le paure. I sentimenti repressi poi esplosi. Il rapporto spesso contradditorio, difficile, con l’aiuto chiesto e quello ricevuto (al Centro quanto altrove, da sconosciuti ma anche parenti e amici). Lo scontro titanico tra normalità e il resto, il non esserlo (qualunque cosa sottintenda).

‘FramMenti’ è la registrazioni di vite. Speranze. Affogamenti. Percorsi. Cadute. Crolli. Sguardi e volti che Barbara Garlaschelli ha conosciuto, ne ha sentito le vicinanze quanto le profondità scure, irraggiungibili forse.
Tante malattie, nomi che spaventano pur non comprendendo (il più delle volte) i significati fondi, senza conoscere i sintomi precisi, le terapie, le manifestazioni di mali che abitano persone costrette ad accettare il sub-affitto, costretti a plasmarsi contro cortecce dure e irremovibili. Ma, come scrive la Garlaschelli, sempre e solo persone. Carne, ossa, sentimenti, logiche e tante, tantissime parole. In attesa di ascolti.

Nella prossima scheggia di questo ipertesto imperfetto, alcune domande a Barbara Garlaschelli.

foto di copertina: Funky64 da Flickr che si ringrazia.

Link alla pubblicazione originale su ThePopuli.

I commenti sono chiusi.